[ Torna a pagina: 1 » ]     L’ultima speranza per tener lontane queste forze impure rimaneva sempre la pianta magica per eccellenza contro le presenze infauste, ma non l’aglio che ormai è stato consacrato a quest’uso dal romanzo di Bram Stoker e nelle leggende intorno al principe valacco Vlad Tepes detto il Diavolo (in rumeno Dracul), bensì la cosiddetta Uva della volpe o Erba crociata (Paris quadrifolia sp.) chiamata in russo Volc’ja jàgoda, per fortuna comune anche da noi!
L’aglio però quale mezzo per respingere gli spiriti maligni non è un prodotto della fantasia del sopradetto romanziere, ma un vecchissimo mezzo contadino europeo per riconoscere i veleni. Specialmente nelle Terre Russe si tenevano in alto conto questo bulbo non solo per usarlo come un farmaco per moltissime malattie, ma posto nella ladànka del proprio marito o dei propri figli scongiurava automaticamente il malocchio e gli spiriti delle malattie e soprattutto avvisava della presenza di sostanze non normali magari propinate da un mago cattivo. Prima di mangiare qualcosa preparata da uno sconosciuto dunque, controllare il colore di uno spicchio del proprio aglio dopo averlo mondato e dopo averlo messo a contatto col cibo sospetto! Se annerisce, non toccare quel cibo per tutto l’oro del mondo!
A volte gli upyri erano assimilati ai navi nel loro aspetto e nelle loro azioni, assolutamente ostili all’uomo vivo, ossia con le anime degli antenati i quali, scacciati dalla vita alla luce del sole, cercavano in certi giorni di ritornare dai loro parenti per vendicarsi di torti ricevuti. Il loro ritorno però avrebbe causato in qualsiasi caso uno scompiglio nell’ordine ormai stabilito dopo la loro morte e perciò andavano respinti nel mondo oscuro con riti propiziatori in modo da non scatenare la loro ira e da immobilizzarli con scongiuri e riti particolari nelle loro tombe, se ne avevano.
Nel 1092 questi maledetti navi avevano sconvolto addirittura l’intera città di Polozk. Ecco come ce lo raccontano le Cronache dei Tempi Passati: “A Polozk è successo qualcosa di assolutamente turpe! Di notte per le vie della città si sono sentiti dei sospiri quasi umani, uno scalpitio di cavalli misteriosi. Questo ha gettato la città nelle mani del demonio.
Purtroppo nessuno degli abitanti di Polozk ha visto anima viva e quanto succedeva fuori, perché, se qualcuno osava mettere il naso fuori di casa o socchiudere solo la finestra, moriva immediatamente perché il diavolo che era lì fuori lo colpiva a morte non si sa come. Allora i cittadini di Polozk non uscirono più di notte dalle loro case, anche se le armate del demonio di giorno sparivano. Fra strettezze e confusione (quindi) morirono tantissimi uomini e donne a Polozk e nei villaggi vicini. Era stata insomma un’armata intera di demoni che aveva scorrazzato per la città a cavallo, ma invisibile ad occhio umano, che aveva tuttavia lasciato dietro di sé le impronte dei cavalli. Da allora era nato un proverbio qui a Polozk quando scoppiava una pestilenza: si affermava che “succedeva la stessa cosa di quella volta dei morti (viventi) che uccisero i cittadini di Polozk (traduz. Di ACM).”
I navi si commemoravano nei giorni di Radunizy di cui abbiamo già parlato ed erano temuti (più che rispettati) anche perché questi “parenti” si radunavano di solito (insieme al Bannik) intorno alla puerpera che stava per partorire e potevano decidere il destino del nuovo nato. D’altronde gli antenati potevano essere sempre d’aiuto continuando a vivere intorno alle izbe sotto forma di spiriti e si poteva perciò sempre chiedere loro di dare una mano nelle vicissitudini della vita! Qui aggiungeremo ancora che questa convivenza con i propri parenti morti è rimasta una caratteristica degli Slavi orientali e i Radunizy, raggruppati dalla Chiesa Russa in alcune feste commemorative, in realtà rimasero nell’abitudine rituale di ogni giorno in cui si lasciava un posto vuoto a tavola per i propri defunti. Quando si finiva di mangiare occorreva ringraziare sempre questi convitati invisibili! In realtà i navi erano dei morti che la Madre Umida Terra non accoglieva volentieri poiché avevano condotto una vita non buona e quindi erano destinati a vagare sulla strada dei vivi per scontare le loro malefatte!

Il lupo tuttavia è un commensale del tutto particolare. E’ un altro animale totemico (specialmente per i nomadi a sud di Kiev) da rispettare e per lui c’era una speciale finestrella ricavata raso terra nell’izbà attraverso la quale gli si lasciava qualcosa da mangiare quando, durante gli inverni più duri, lo si sentiva ululare in cerca di cibo o annusare intorno alle izbe. Aveva paura del suono delle campane, si diceva, tanto che a Novgorod e dintorni quando c’era il duro inverno si andava in giro scotendo dei campanacci e dicendo scongiuri contro il lupo intorno alle stalle!
Né bisogna dimenticare la malattia tipica dei canidi selvaggi: La rabbia! Questa malattia, se presa da un essere umano, dava quel ghigno particolare e terribile prima di portare alla morte! E qui conviene ritornare sull’argomento lupo mannaro come commensale magico dello smierd associato al lupo rabbioso, se possiamo così dire.
Nella storia russa il primo lupo mannaro appartiene alla casta nobile rjurikide! E’ Vseslav Briacislavic’ ossia il nonno di sant’Eufrosina di Polozk, Patrona della Bielorussia! Nato nel 1029 probabilmente da madre ciuda (estone), già dalla nascita si mostrò nella sua natura magica poiché aveva una grossa voglia pelosa sulla testa, talmente deturpante per un principe che fu costretto ad indossare per tutta la vita una berretta che la nascondesse.

Dal Cantare della Schiera di Igor
(traduz. di Eridano Bazzarelli, Rizzoli 1991)     [ Vai a pagina: 3 » ]