-Accidenti!
Cloe guardò stizzita quel rivolo di sangue che le scorreva fra i denti.
Come al solito, li aveva sfregati troppo forte.
- Ma quando imparerò?
Si chinò, aprì di getto il rubinetto dell'acqua fredda e ci mise sotto la bocca, una, due, tre volte, finché non ci fu più alcuna traccia del liquido rosso.
Si specchiò, pettinandosi velocemente.
Da ormai un quarto d'ora andava maledicendo quella dannatissima sveglia, piccola e così silenziosa!
Ma non l'avrebbe cambiata per niente al mondo, era un regalo di Rona, la zia giovane, che il mare si era portata via tanti anni prima. Cloe ricordava ancora quando la nave aveva lasciato il porto, e lei, con ancora in mano il pacchettino argentato, correva lungo il molo sbracciandosi, e quella figurina che la guardava dal ponte, salutando e gridando. Per la ragazza Rona era sempre stata una sorella, erano cresciute insieme avendo praticamente la stessa età, insieme si erano divertite costruendo castelli di sabbia, facendo il bagno, insieme avevano studiato e giocato e corso da una vetrina all'altra per osservare nuovi vestiti. Avevano condiviso tutto.
Ma da quando Rona era partita, Cloe non aveva più messo piede in acqua o sulla sabbia, dalla terrazza di casa sua aveva dipinto magnifiche tele e osservato innumerevoli tramonti, sempre pensando a quella nave che si stagliava, nera, contro l'orizzonte e che piano piano era scomparsa, non era più uscita neppure a fare spese, aveva lasciato a sua madre il compito di scegliere per lei la roba da mettere, perché troppo nitida era l'immagine di quella figurina che camminava saltellando con le borse in mano.
La ragazza tornò di corsa in camera, con un leggero sorriso osservò quella piccola sveglia a forma di coccinella, poi corrugò la fronte.
- Diavolo, è tardissimo!
La ragazza corse fuori di casa, sbattendo la porta. L'autobus sarebbe passato fra pochi minuti, eccolo infatti, Cloe lo vide salire lento sulla collina, un grosso pachiderma scalcinato, zanne ormai spezzate e senza più la possenza della sua specie. Salì con malavoglia quegli scalini di gomma, prendendo posto vicino ad un finestrino, lamentandosi, mentalmente, della confusione regnante.
Le ricordava troppo il momento dell'addio, signore che piangevano e si stingevano ai mariti, dolenti di lasciare le loro figliole che s'imbarcavano per la luna di miele, ragazze che strillavano contente per la crociera. Ma Rona no, lei era triste.
- Promettimelo Cloe, il giorno che tornerò, perché io ritornerò, voglio osservare tutti i tuoi dipinti, e voglio vederne tanti, perché tu sei veramente brava. E per il momento, nipotina mia, voglio che tu tenga questo.
Il pacchetto sbucò, magicamente, da una tasca del giacchino di Rona, e Cloe si affrettò a prenderlo perché la sirena stava chiamando tutti a raccolta.
- Ma zietta, non ho niente per te...
- Non ti preoccupare, ho tutti gli album con le tue foto e a casa tua ho lasciato quelli con le mie.
Non voglio che questa testolina si dimentichi di me.
E l'aveva accarezzata.
- Ora scappo, nipotina...
Cloe la perse in mezzo alla folla, poi, osservando la nave, la vide sbucare e affacciarsi, allora si agitò, rincorse la nave e la vide scomparire all'orizzonte, nera sotto il tramonto.
A Cloe era sempre piaciuto il canto del mare.
Beh, più che un canto sembrava quasi uno struggente lamento, aveva esattamente lo stesso suono della sirena che aveva portato via la sua zietta.
La ragazza lo sentiva, forte e nitido, da ormai una decina d'anni, in certe notti d'estate sembrava persino che parlasse con dolcezza, come per farle compagnia, per non farla sentire sola.
Altre volte, invece, era arrabbiato, Cloe non riusciva a capire perché, picchiava violentemente contro i vetri della casa, voleva trascinarla all'esterno. Ma la ragazza si stringeva feroce sotto le coperte, tremava ma non cedeva, aveva fatto la solenne promessa di non scendere più sulla spiaggia né di toccare più l'acqua salata del mare che le aveva portato via Rona, il mare non l'avrebbe avuta.
E quella notte neanche lei capì il perché, si svegliò all'improvviso e, andando contro a tutti i suoi propositi e alle sue promesse, in men che non si dica si ritrovò, i sandali pieni di sabbia, la maglietta e i capelli accarezzati dalla brezza, sulla riva, ad osservare le onde infrangersi sugli scogli.
Il cielo era terso, trapuntato di stelle, e c'era la luna, che si stagliava da sopra la casa, velata solo ogni tanto da qualche nuvola. Dietro di lei l'erbetta, che, scendendo dalla casa, piano piano aveva lasciato il posto alla fine sabbia, si stava agitando come scolaretti sui banchi di scuola, ma Cloe se ne stava immobile, per nulla intimorita da tutto quell'improvviso, sommesso mormorio. Sapeva. Qualcosa doveva accadere, quella sera, per questo aveva accettato di scendere, di lasciarsi toccare dai fini granelli.
Avanzò, lentamente, verso l'acqua spumeggiante, che l'attirava, la trascinava.
Entrò, senza alcuna fretta, stupendosi di ricordare ancora il piacevole massaggio delle onde, la freschezza, e già l'acqua le aveva bagnato le ginocchia quando si arrestò.
Dall'orizzonte notturno le pervenne quel suono, più triste che mai, le entrò nelle orecchie, si soffermò, e le bruciò dentro come fuoco vivo. Il mare cantava, dolce e sincero come non aveva mai cantato, e tuttavia era così orribile. Ogni elemento venne colpito da quel suono, ogni alga inanimata, che galleggiava silenziosa sull'acqua, ognuno di quei minuscoli pesci che esistono nella grande distesa, ogni conchiglia levigata dalla madreperla, la madreperla stessa lo sentì e ne ebbe paura, gli scogli tremarono e i loro abitanti vi si attaccarono con tutte le forze, giunse a ogni essere magico che può esistere nelle profondità marine, colpì le balene e le portò a danzare sulla superficie, colpì i coralli, che sprigionarono tutta la loro luminescenza, e gli anemoni, che si ritrassero velocemente, ma soprattutto colpì Cloe, che ancora non si decideva a muoversi, le gambe ben piantate nella fanghiglia, le braccia che cingevano le spalle.
E all'improvviso la nave riapparve, macchia ancor più nera dell'inchiostro, nitida e tremenda.     [ avanti » ]

di Claudio G.