Lo sconosciuto Era seduto là, davanti alla finestra come al solito, provando ancora una volta quel senso di incompiutezza che lo faceva sentire diverso da così tanto tempo ormai. Stavolta però aveva trovato un rimedio, qualcosa che lo faceva stare meglio quando ripensava agli insulti delle persone, ai loro sguardi dall’alto in basso, al loro implicito disprezzo. Anche stavolta guardava con speranza alla lametta sul tavolo. Non aveva ancora trovato il coraggio di porre completamente fine al dolore che provava, ma i segni sull’avambraccio sinistro aumentavano di uno al giorno. E nessuno se ne era accorto. Ripensava continuamente a quello che avrebbe dovuto dire, a ciò che avrebbe dovuto fare per scrollarsi finalmente quella angoscia dalle spalle, ma come sempre finiva per ricorrere a quel suo rimedio, l’unica cosa sovversiva della sua vita. Per quanto ancora sarebbe potuto andare avanti in quel modo? Aveva ancora un futuro a cui aspirare? Per la maggior parte delle persone la vita procede nel suo scorrere abitudinario senza che loro se ne accorgano; ma che succede quando si vive ogni singola giornata nella speranza che il proprio domani possa essere migliore e poi si finisce col rendersi conto che si aspetta qualcosa che non arriverà mai? La vita era ormai divenuta una morte cosciente per lui. Dopo aver sognato per un paio d’ore seduto davanti alla tv, tornò coi piedi per terra e si gettò sul letto sperando di riappacificarsi col mondo la mattina successiva. Al suo risveglio il mondo era come lo aveva lasciato la sera precedente; si lavò, si vestì, fece colazione e uscì di casa diretto a lavoro portandosi dietro le sue gommose speranze. Un’altra giornata che avrebbe definito pessima parlando col suo gatto una volta tornato a casa sua, ma lui un gatto non ce l’aveva e la casa era in affitto. Seduto davanti al computer aveva subito per l’ennesima volta le cattiverie dei suoi colleghi, del suo capo. Eppure si considerava una persona semplice.. e si sarebbe accontentato di una semplice risposta a una ancora più semplice domanda: perchè la sua vita era così? Beh, questa semplice risposta, lui, non l’aveva ancora trovata. Quella sera, tornando a casa, era immerso ancora una volta nei suoi pensieri, quando si rese conto che la soluzione ai suoi problemi era più vicina di quanto pensasse: sarebbe bastato buttarsi in mezzo alla strada, o gettarsi dal ponte vicino casa sua, o.. Ma certo, lui che odiava anche il solo pensiero del dolore si sarebbe buttato da quel ponte. In quel preciso momento riaffiorarono due ricordi che i più dichiarerebbero in netto contrasto. Si ricordò di quando con sua madre camminava su quello stesso luogo sacro e profano per andare.. beh,questo lo aveva scordato, e di aver letto che i suicidi che decidevano di gettarsi svenivano subito dopo il loro infelice salto. Questo sarebbe bastato a fargli compiere quel passo decisivo? Jason credeva di sì. Stava per scavalcare il parapetto, quando il vento gli frustò la faccia: gli parve un rimprovero paterno che aveva tardato ad arrivare. Credeva che un uomo non avrebbe potuto provare una simile paura in tutta la sua vita; ma non ne era sicuro. Si era fatto piuttosto buio e l’acqua sotto di lui si faceva temere più che mai, quando sentì qualcuno: - Fermo. Non lo fare.. -
Si voltò completamente disorientato. Poco distante, un uomo che avrebbe definito distinto ed elegantemente vestito, lo stava osservando e aveva la sensazione che gli stesse dietro da un po’. Lo fissò senza sapere che cosa dire, una sensazione non nuova purtroppo. Lui continuò: - Sei davvero convinto che sia finita? -
Ormai aveva gli occhi velati di lacrime amare e stavolta non poteva correre al bagno come in ufficio, o soffocarsi dietro a un cuscino per non farsi sentire dai vicini. Cadde in ginocchio sull’asfalto credendo di non trovare mai più la forza per rialzarsi. Appoggiò le mani sulla strada e sembrò quasi voler spingere la terra lontano da sé. Le lacrime gli laceravano il viso senza che potesse più fare qualcosa per nasconderle.
- Che ne dici di andare a bere qualcosa? -
Lui non si mosse e continuò a piangere attirando l’attenzione di qualche passante indiscreto che si fermava ad osservare.
- Ti potrei aiutare.. -
A quelle parole si girò semplicemente nella sua direzione, con uno sguardo che lasciava intendere il suo stato confusionale.
- Allora?.. Vieni? -
- Non.. non so cosa fare.. -
Ancora lacrime.
- Lo so. È per questo che ti sto offrendo il mio aiuto. Devi solo rispondere “sì” o “no”. È semplice. -
Ancora quella parola, “semplice”; ma nella sua vita nulla si era dimostrato essere poi tanto semplice.
- D’accordo, potremmo andare a bere qualcosa.. -
Eccoli insieme per la prima volta, l’uno, Jason, e l’altro, Thomas.
I due entrarono in un bar e fu Thomas a ordinare per entrambi assicurandosi che Jason bevesse abbastanza. Poi accompagnò il suo “nuovo amico” in quella che per il momento era e restava casa sua. La mattina seguente, al suo risveglio, Jason si domandò chi fosse quell’ uomo; anche se si erano presentati e avevano scambiato quattro chiacchiere restava comunque “l’uomo del giorno prima”. Ancora una volta il mondo si era dimostrato per quello che era: una schifezza agli occhi di Jason, che si lavò, si vestì, fece colazione e uscì di casa diretto a lavoro come faceva la maggior parte delle mattine della sua vita. Era seduto davanti al suo computer in ufficio, quando il suo cellulare cominciò a squillare: sul display lampeggiava la parola “sconosciuto”. Sentì una strana sensazione ed ebbe come il presentimento che si trattasse di qualcosa di importante. Non lo chiamava mai nessuno.
Decise di rispondere. - Pronto..? -
Riuscì a vedere il sorriso del suo interlocutore. - Ehi!.. la vita è ancora così negativa Jason? -
- .. Thomas..? -
- Bene, sapere che la gente si ricorda di te è positivo per l’ego di un uomo, lo sai? -
- Perché mi hai chiamato? -
- Perché hai bisogno di qualcuno che ti insegni a vivere. Sono qui per questo. La tua prima lezione consiste nell’abbandonare l’ufficio in cui lavori. Sei disposto a farlo? -
- Cosa?!!? È il posto in cui lavoro, sei impazzito? -
- È questo il punto. Se farai quello che ti dico sarai libero da questa vita. Non ti preoccupare dei soldi, se accetterai verrai a vivere da me. Allora? -
A questo punto le possibilità erano due. O faceva come aveva detto Thomas e la sua vita avrebbe preso una piega del tutto nuova pur non sapendo bene in quale direzione, o poteva concludere la telefonata con un semplice “non ce la faccio” come faceva ogni volta che le cose si complicavano. Come quando non ce l’aveva fatta a finire la scuola, come quando non ce l’aveva fatta a prendersi cura di sua madre, o come quando non ce l’aveva fatta a tenersi stretta l’unica donna che avrebbe potuto amarlo.
- Poi che cosa farò nella mia vita? -
- Vuoi farmi credere che questa era la tua massima aspirazione?! Dammi la prova che sto cercando, dimostrami che non mi sono sbagliato e che puoi cambiare, diventare quello che non sei mai riuscito ad essere! Fallo Jason, e ti cambierò la vita. - Queste furono le ultime parole di quella telefonata.
“O mio dio. Che sto facendo?!”
Si alzò di scatto attirando l’attenzione della ragazza che da un paio di mesi lavorava acanto a lui senza che se ne fosse mai accorto. Solo ora aveva visto come quegli occhi verdi lo stavano a guardare dal basso verso l’alto. E per un attimo ebbe un sussulto. Dorothy. Si diresse verso l’ufficio del “capo” ed entrò spalancando la porta a vetri:
- Me ne vado. -
- Sì, certo come no! Dai Jason, conoscendoti domattina sarai ancora qui! Torna a sederti.. -
- Non ce n’è bisogno. Ho detto che me ne vado. Mi licenzio. -
- Ascoltami bene: non mi cambierà la vita se te ne vai, sappi però che non ti servirà a niente tornare qui tra un paio di giorni a elemosinare il tuo vecchio posto. Se ti tenevo qui era solo per quella vecchia di tua madre che venne a strisciare per te. -
- Prega solo che non ti incontri fuori di qui! -
- È una minaccia Jason? -
- Sì. -
Uscì da quel posto per l’ultima volta, lasciandosi alle spalle le facce dei suoi colleghi divisi tra indignazione e pura approvazione per un gesto a cui molti di loro pensavano spesso. Quando tornò a casa si rese però conto della precarietà della gloria: sul pianerottolo c’erano tutte le sue cose, stipate in vecchie valigie e scatole di cartone, mentre attaccato alla porta c’era un biglietto scritto a mano da parte dell’odiato padrone di casa: “non hai pagato l’affitto!” Come se senza un lavoro le cose potessero andare meglio..    [ « Vai a pag. 2 ]