La famosa maschera di Pulcinella, nota in tutto il mondo come simbolo del capoluogo campano è strettamente connessa al culto delle anime dei defunti. La maschera compare ufficialmente nel 1500 dall'attore Silvio Fiorillo e portata alla ribalta come oggi la conosciamo nell’800 da   Antonio Petito. Le origini si perdono nella notte dei tempi. Il nome di Pulcinella per alcuni deriverebbe da “piccolo pulcino” ovvero “pulciniello”, per altri sarebbe la caricatura di un contadino di Acerra, Puccio d'Aniello, che nel '600 era un buffone locale, per altri ancora le origini arrivano al IV secolo a.C., ovvero Pulcinella come discendente di Maccus, personaggio degli spettacoli teatrali romani raffigurante un servo dal naso lungo e dalla faccia bitorzoluta. Pulcinella è però molt’altro. Il suo vestito bianco e la maschera nera sono i tipici colori del mondo dei defunti o meglio del rapporto tra mondo dei vivi e mondo dei morti. Il bianco era nell’antichità il colore dell’abito del lutto, e anche il riferimento al pulcino, da sempre nelle leggende popolari simbolo del mondo ctonio non è casuale. Egli è dunque lo psicopompo, il traghettatore dell’aldilà, dunque colui che comunica e mercanteggia con la Morte come testimoniano le molte storie popolari messe in scena nei teatri di burattini. La sua figura liminare è però curiosamente legata anche al Sud America. I colori di Pulcinella ricordano molto infatti i Petros Velhos, anime di defunti che hanno portato a termine il loro “ciclo” e considerati nel Candomblè e nell’Umbanda appunto come guide spirituali. L’animo del trickers di Pulcinella ci permette di fare un’ulteriore paragone. Bruno Leone afferma . Il Pulcinella aggressivo, più docile e remissivo, vitale e giocoso, sembra collegarsi direttamente al veneratissimo Eshù, una delle divinità più rispettate nella religione yoruba e nei culti sincretici correlati. Egli svolge il ruolo di intermediario fra gli dèi (gli Orisha) e l'uomo, espressione delle energie vitali che permettono il passaggio del Messaggio. Egli è il signore degli Eguns, gli spiriti degli antenati, in un rituale poco conosciuto ma che sembra davvero vicino a quello delle “pezzentelle” fin ora descritto. Infatti gli Eguns sembrerebbero più fortemente legati al concetto di spiritismo e di “entità” o “fantasma” più che di antenato tout court. Si parla spesso di una vera e propria società segreta dei veneratori degli Eguns, dalle chiare influenze kardeciste, i cui membri sono legati ad uno strettissimo riserbo.
Se Pulcinella ricorda il culto di Eshù, le pezzentelle sono strettamente correlate ad un altro culto diffusissimo in tutto il continente sud americano ed in particolare in Messico, quello dell’Anima Sola. L’iconografia più diffusa è quella di una donna incatenata che soffre tra le fiamme. Pregare per l'Anima Sola è una tradizione per molti aspetti diversa da quello del più diffuso culto dei santi. Invece di pregare per un santo che poi si appella a Dio, l'Anima Sola rappresenta le anime del purgatorio, che richiedono l'assistenza sia dei vivi e in cambio concedono loro qualcosa. In altre parole è l’anima abbandonata che richiedere preghiere ed attenzioni per velocizzare la sua ascesa in paradiso e dunque diviene grata a chiunque gliele dia.
In Messico, proprio come a Napoli, il culto dell’Anima Sola raggiunge il suo apice nel 1800 per poi diventare importante culto devozionale in tutto il Messico. In realtà il culto dell’Anima Sola è una forma di sincretismo tra i culti del mondo ctonio Maya e il Cattolicesimo. Le botaniche vendono moltissime immagini dell’Anima purgante, legata più che altro a richieste di amore, o di protezione dai nemici a cui temporaneamente vengono inviate sofferenze come quelle purgatoriali. In molte case messicane è collocato un piccolo altare con un’immagine dell’Anima purgante, candele ed acqua.