Il culto dell’Antenato è qualcosa che Napoli si porta dentro da sempre. Situati a 10-12 metri dal livello stradale troviamo infatti, sotto il rione Sanità, estese necropoli datate IV – III secolo a.C., sarcofagi dipinti e scolpiti purtroppo dimenticati nell’oblio culturale italiano, ipogei greci, catacombe del V secolo come quelle di San Gennaro dove si svolgevano rituali pagani di fertilità e procreazione.
Il legame tra quest’area e i defunti non ha mai più lasciato la città, infatti, utilizzando la parole di Cesare De Seta “...Questa zona conservò, anche agli albori dell’era cristiana, la sua destinazione cimiteriale…”. Tra il Seicento e il Settecento la cave del rione Sanità furono adibite ad ossario comune per l’epidemia di peste che colpì la città nel 1656, quindi punto di raccolta per le ossa rinvenute nelle “terre sante” attorno e sotto le Chiese, ed infine per le vittime del colera del 1836.
In questo contesto si sviluppò il culto delle “anime purganti” ovvero le “anime pezzentelle”, termine che proviene dal latino petere, chiedere. La peste del ‘600 e il Colera dell’800 impediscono un rapporto diretto e personalizzato con i propri morti annullando così ogni possibilità del culto degli “Antenati”. Le anime pezzentelle sopperiscono a questo problema, il culto dell’anonimo diviene il culto dell’Antenato in quanto riconosciuto, appunto, come defunto di famiglia. E’ in questo quadro culturale pagano e cattolico, magico e religioso che si inserisce la tradizione del culto del Purgatorio napoletano, un culto la cui potentia deriva dal fatto che si tratta di “anime antiche” come dichiarano gli stessi devoti.
Un importante revival del culto delle pezzentelle lo ritroviamo durante la Seconda Guerra Mondiale. I corpi dei dispersi sono tantissimi e le donne che non riescono a dare sepoltura ai propri cari soffrono due volte, per la morte e per la non possibilità di piangere il corpo. Ecco che ricomincia, laddove in realtà non si era mai spezzato, l’uso di “adottare un’anima purgante”.
In cosa consta realmente il culto?
Ci sono due differenti versioni del rituale.
Secondo una prima tradizione un’anima purgante apparterrebbe in sogno al fedele prescelto, quasi sempre una donna, indicando dove si trovano i suoi resti ed in particolare la capuzzella, ovvero il suo cranio.
All’indomani del sogno il fedele si sarebbe recato nel luogo indicato dove, presa la capuzzella, la puliva, la lucidava, l’asciugava dal “sudore”, segno delle fatiche che l’anima doveva sostenere per arrivare in paradiso, la venerava portandola, in alcuni casi, addirittura a casa. Un’altra versione vorrebbe che fedele si scegliesse la capuzzella da accudire, ponendola su di un fazzoletto bianco, magari aggiungendole attorno un rosario e solo dopo giungeva il sogno durante il quale l’anima rivelava la sua identità e dunque il suo nomen.
In ogni caso elemento principale è il sogno, il mezzo con cui si può comunicare con i defunti. E’ la trance che avviene in somnis, come negli antichi rituali di incubazione pagana che si tenevano presso i luoghi sacri.
La richiesta delle anime è sempre la stessa, tutte hanno bisogno del “rinfresco”.
Se la famiglia iniziava a vedere dei cambiamenti positivi all’anima purgante veniva costruita una scarabattola , una sorta di teca in legno leggero con fondo dipinto, fazzoletto, olio e lumino ed iniziava così il culto, ovvero i primi refrischi, fiori, preghiere e offerte. Se invece non accadeva nulla la capuzzella veniva prima “messa in punizione”, ovvero girata, e poi riportata al l’ossario e abbandonata.
Le richieste erano molto materiali e inserite nel contesto sociale della vita di ogni giorno, trovare un fidanzato, convolare a nozze, vincere dei soldi al lotto, trovare un lavoro, avere dei figli…Avuta la grazia l’anima era “Familiarizzata”, ovvero entrava a far parte della famiglia, venivano donati oggetti del corredo, addirittura costruita, attorno al luogo di sepoltura, una piccola area domestica.
Nella cripta di Santa Maria del Purgatorio, attorno ad alcune scarabattole troviamo delle piastrelle.
Le piastrelle sono reali mattonelle della cucina degli adottanti, realizzate negli anni ’50, per ricreare l’ambiente famigliare per eccellenza, Il luogo dove la famiglia si riunisce: ovvero la cucina.
Il lunedì era ed è il giorno dedicato al culto, ancestrale ricordo dei culti di Ecate, signora della Notte e deputata al “commercio” con i defunti. Le donne si recavano sul luogo di culto e con ovatta, spirito e naftalina iniziavano a lustrare il teschio: la pulizia infatti avrebbe accelerato la salita in paradiso e dunque l’intercessione.
Il rituale non deve essere né troppo veloce né troppo lungo per evitare il pericolo della “fissazione”, ovvero del legare troppo il defunto al mondo materiale impedendo proprio quel passaggio dell’anima che il processo vuole favorire.
Accanto a questo culto personale si associava uno comunitario. Donne chiamate “maste”, ovvero dotate di una particolare sensibilità indicavano ai fedeli le anime bisognose, mentre spesso per potenziare l’intercessione ci si rivolgeva ad una “ministrante”, una ragazza vergine, oggi diremmo malata di epilessia, che cadeva in trance e iniziava a schiumare. Quella schiuma era la manifestazione della grazia e che di lì a poco sarebbe accaduto qualcosa.
Un ruolo importante avevano anche i bambini, considerati, per la loro purezza, più ricettivi. Ecco che dunque durante le preghiere, erano portati spesso nei luoghi di culto. Anche i resti dei bambini morti erano considerati potentissimi, i loro crani erano in assoluto i più richiesti, e di conseguenza, pressoché introvabili, al punto di suggerire ai devoti l’opportunità di iscriversi in una lista di attesa che veniva evasa via via che arrivavano nuovi crani.