Solo diventando mostri si impara a essere umani... E' il sottotitolo di un videogioco. Ma è una frase che in questi giorni avrebbe potuto pronunciare un filosofo, un regista del cinema, uno scrittore o un teorico della letteratura. Il vampiro è tornato. O forse, non se ne era mai andato. In ogni caso è di nuovo icona universale, figura dell'inquietudine erotica e del dibattito ideologico. Lo dice a chiunque voglia ascoltarlo, Slavoj Zizek, filosofo e psicoanalista lacaniano, autore di decine di libri, forse l'intellettuale più di moda oggi a New York. «Il vampiro in quanto morto vivente è molto più vivo di noi, mortificati come siamo», afferma.
Ma di vampiri non si parla solo nei circoli universitari. Alla Buchmesse di Francoforte, la più importante fiera del libro del mondo, quella figura reincarna l'immaginario romantico e vittoriano - immaginari tornati di moda con un'America imperiale - è stata evocata in decine di volumi tra romanzi popolari e dotti saggi. E anche Hollywood, di nuovo, lancia pellicole dedicate agli esseri che succhiano il sangue dei vivi. Il vampiro protagonista di musical a Broadway - "Dracule" previsto per la prossima stagione e "Dance with of Vampire" in quella scorsa - di una serie tv "Buffy l'Ammazzavampiri" e "Angel", di convegni (Vampiri: miti e metafore del male eterno, a Budapest), e di videogiochi.
Ma il vampiro oggi, chi è? «Un amico intimo», rispondeva Erich Auerbach, geniale storico della letteratura. Oggi, un erede ideale di Auerbach, grande studiosa del romanticismo, la polacca Maria Janion, conferma l'intuizione del maestro. E va oltre. Definisce il vampiro «maschera sessuale e metafora dello scontro fra corpo e potere». Maschera e metafora cui ha dedicato un volume di oltre 700 pagine (una delle rivelazioni della Buchmesse, oltre ai libri in tedesco, inglese, olandese dedicati al tema): una dotta e pugnace "biografia simbolica".
Il vampiro insomma attraversa oggi tutto, dalla consolazione della filosofia alla filosofia della consolle, dall'atavismo più viscerale ai raffinati innesti cyborg, cinema e politica, pubblicità e blog, romanzo, musica e moda. In Italia di incarna nel blog Carmilla di Valerio Evangelisti e Giuseppe Genna, con l'ultracentenaria vampiressa creata da Sheridan Le Fanu eletta a madrina di "Letteratura, immaginario e cultura d'opposizione".
A Hollywood, fucina dei nostri sogni e incubi presenti e futuri, assume le forme di una silhouette femminile in latex nero, stagliata su uno sperone di roccia contro i canonici bagliori minacciosi della luna piena. La lunare creatura troneggia nella locandina di "Underworld", regia di Ken Wesiman, con Kate Beckinsale già star di "Pearl Harbor" nel ruolo della sexy vampiressa-guerriera Selene. E non è finita. La soave attrice inglese si è trovata talmente bene a proprio agio nei panni vampireschi, da girare subito dopo un altro film intitolato "Van Helsing". Chi è Van Helsing? E' uno dei personaggi del classico dei classici, il "Dracula" di Bram Stoker. Colui che pronuncia la frase cruciale, «la forza del vampiro sta nel fatto che nessuno vuole credere alla sua esistenza". Un modo per alludere all'obbligo di fare i conti, anche controvoglia, con una figura ineludibile, pure oggi. E che il cinema rilancia.
Ma come mai l'industria dei sogni propone "Underworld" e altre storie di vampiri? Risponde Gianfranco de Turris, nume tutelare della narrativa fantastica nostrana: «Il vampiro, figura arcaica, nonostante l'armamento tecnologico imperante, è rimasto un mito immortale. Nell'horror di una lingua inglese ha ancora il suo posto d'onore non solo in forma tradizionale, ma pure nella letteratura attuale: da Stephen King alla Saga di Anne Rice. Il cinema ne ha potenziato e rilanciato la fama, da Werner Herzog a Francis Ford Coppola a Wes Craven, sino a "Underworld" che sta per uscire nelle nostre sale».
Ogni riferimento all'omonimo bestseller di Don DeLillo è casuale, anche se esiste un sottile filo rosso (sangue) che collega i due "sottomondi": un ccerto fremito apocalittico, da sotterranea guerra fra poteri occultuti, e un sincretismo di matrice postmoderna. nel film, spettacolare pellicola d'azione, le battaglie sontuosamente coreografate sono tra vampiri e lupimannari, ovvero tra aristocratici e gang di strada. Ma il "New York Times" ha letto nella storia la rappresentazione di una paura attualissima, quella verso i matrimoni interetnici. E poi c'è il caso di Massimo Introvigne, studioso di sociologia delle religioni. Il professore sta per pubblicare una bibliografia sul vampiro nei fumetti di lingua inglese. Sono oltre 10mila voci soltanto nel Novecento, «ma gli ultimi tre anni sono stati particolarmente prolifici», confessa, per confermare l'attualità estrema del vampiro. E spiega: «Il vampiro è ovunque, nelle sorprese degli ovetti di cioccolata e nei romanzi popolari a fascicoli dell'editore tedesco Bastei, e d'altronde quasi tutta la fiction di intrattenimento ruota tuttora intorno all'eredità vittoriana: al detective, al personaggio con poteri straordinari, e appunto al vampiro».
Lo scrittore Michele Mari è ancora più radicale. E' la letteratura, tutta la letteratura, ad essere simile al vampirismo, Borges nell' "Arteficie" parla dell'autovampirismo letterario attraverso l'immagine dei due Borges: il primo biologico che vive inconsapevolmente, il secondo scrittore che vive alle spalle dell'altro («Io vivo, io mi lascio vivere, perchè Borges possa tramare la sua letteratura e quella letteratura mi giustifica»). E' un altro scrittore, Alessandro Baricco, ha creare una sottile passerella tra la teoria letteraria e l'area della patologia. In un saggio sul "Dracula" di Bram Stoker per il quarto volume del "Romanzo" curato per Einaudi da Franco Moretti, Baricco lo definisce «un buco nero, un'assenza, un bagliore», uno che non è chiaro se sia vivo o morto, «terrore cristallizzato in gesto, immagine, parola, odore, tempo, colore», una forza estranea che corrode una comunità apparentemente estranea: un virus. Secondo una recente lettura, l'ormai classico ma sempre sconvolgente romanzo di Richard Matheson "Io sono leggenda" profetizza l'epidemia dell'Aids. Ed esiste una foltissima letteratura, chiamiamola così, paramedica, che stabilisce un rapporto fra il vampirismo e una serie di morbi e malanni modernissimi, dalla turbercolosi all'anoressia, dall'anemia alla depressione. La chiave, suggestiova e convincente sul piano simbolico, è sempre la stessa: la sgomentevole contiguità fra la vita e la morte, la distruzione del corpo con il languore anche erotico che ne consegue. Canini aguzzi su pelle diafana, sangue, risucchiamento, commistione di membra e di liquidi.
Ma perchè tutto questo immaginario è ancora valido? Gli esperti rispondono così. Tradizionalmente, il vampiro rappresentava la minaccia del sovrannaturale, lo sconfinamento della morte nella vita: nell'epoca vittoriana l'incrinatura del primato umano sotto la spinta delle teorie evoluzioniste, la temuta rivendicazione femminile, fino all'antisemitismo (è la lettura che della figura di Dracula dà Paul Marchbank dell'Università di Suothampton). Allo stesso modo, il vampiro è metafora dei nuovi mezzi d'informazione che vampirizzano i precedenti. Internet risucchierebbe, distruggendoli, libri e cinema. E rappresenta la tecno-ansia: nella quarta serie tv di "Buffy", si tenta di neutralizzare la potenza sovversiva del vampiro attraverso la tecnologia cyborg, quasi un chip innestato nel cervello potesse mettere il Mostro sotto controllo.
Ma è la carica erotica e omoerotica del vampiro, la condensazione in lui del puro desiderio e del puro istinto, a lanciare le teorie e le riflessioni di stampo psicoanalitico. Zizek racconta di vampiri «che hanno letto Lacan» e non si riflettono negli specchi perchè sono privi di inconscio. La Janion analizza «la migrazione delle identità sessuali». Il "New York Times" parla con più semplicità di «razza postmoderna che è poi diventata popolare con i film di Coppola e Jordan: i vampiri innamorati di sè stessi».
E poi, dicono gli studiosi, se il vampiro è la figura dell'esorcismo collettivo verso il male, lo è ancora più fortemente in quest'epoca. Perchè l'ondata di neovittorianesimo che attraversa l'ideologia americana fa pensare al vampiro come raffigurazione di un'equazione antica e attualissima: l'altro come il Nemico.

Giovanna Zucconi