Il Natale, con tutte le sue contraddizioni e i suoi festoni, stava per abbattersi nuovamente su Bozen Town e Manni Franzensfeste come gli altri inquilini del palazzo in cui aveva lo studio era di nuovo alle prese col mercatino natalizio che ogni anno attirava sulla piazza antistante l’edificio folle oceaniche di curiosi e turisti in preda alla febbre del più compro più comprerei.
Per dirla tutta erano solo lui, Poja Loia e il dentista Ciccio Ferroni a preoccuparsi di tutto quel bailamme consumistico, in quanto Li Sing, Kim Il Dong, Ciang Tschurtschen-Ciang e tutti gli altri cinesi residenti nell’ex Hotel Città non erano minimamente sfiorati dalla cosa, presi com’erano dai preparativi per il capodanno cinese che sarebbe caduto di lì a due mesi.
Una mattina, al bar Manni, Ciccio e Poja si erano lamentati con sé stessi, con la barista e con un barbone appisolato accanto al calorifero, finendo poi per avviarsi lungo le scale del vecchio palazzo rassegnati a subire il mercatino, diretti ognuno al proprio ufficio. Era stato allora che Manni aveva incontrato per la prima volta Grigorj Balanescu, che sostava diligentemente in fondo al giroscale attendendo l’apertura dello studio dentistico di Ciccio.
“Ahi ahi dottore! Voi non sa quanto male fare! Quanto male!” Balanescu aveva la guancia sinistra ben gonfia e non v’erano dubbi circa la sua visita a Ciccio Ferroni.
Era un anziano dall’età indecifrabile e, disse Ciccio, era suo paziente da alcuni mesi. Sebbene gli avesse raccontato di essere residente nel Sudtirolo Imperfetto da parecchi anni, manteneva un marcato accento da immigrato d’oltre cortina, come si solevano chiamare i paesi dell’est prima che crollasse il muro di Berlino.
Franzensfeste trascorse parte della mattinata a pedinare la moglie del signor Gallmetzer, che a detta del marito soleva recarsi in centro con la scusa degli acquisti natalizi per poi incontrarsi con un innocente studentello a cui concedeva le proprie grazie con totale abbandono. Quel giorno l’adescamento avrebbe dovuto aver luogo nella sala interna della pasticceria Streitberger, il cui proprietario e pasticcere era, oltre che bluesomane incallito, vecchio amico di Manni, che tra una Schwarzwaelder ed un Kastanienherz stette a lumarsi con discrezione la signora Gallmetzer e la sua amica Elsa dedite al più torrenziale degli scambi di pettegolezzi. Inutile dire che dello studentello non si vide manco l’ombra: quasi che la signora avesse capito che il marito la faceva seguire.
Al rientro in ufficio, Manni si era nuovamente imbattuto nel vecchio Balanescu che sostava, stavolta nell'attesa di chissà cosa, nell’atrio del palazzo.
“Santo cazzo! Ma è ancora qui? Si sente poco bene? Vuole una mano?” Rimase stupito lui stesso di quante attenzioni stesse dedicando a quel vecchio, quasi che lo spirito del Natale incombente lo avesse per un istante contagiato.
“Non male, grazie signore” aveva risposto Grigorj Balanescu.
“E allora cosa aspetta qui al freddo?”
“Qui non troppo freddo. Voi non preoccupare. Grigorj aspetta che sera viene, poi va.”
“Sera? Ma se è solamente ora di pranzo?”
“Voi non preoccupa. Di questa stagione sera viene presto. Io aspetta.”
“Santo cazzone, non dica idiozie! Venga su a bersi un tè. La mia segretaria fa il miglior tè del palazzo, alla faccia di tutti i cinesi che ci abitano. Avanti, mi segua.”
Che interesse avesse suscitato il vecchio in Franzensfeste, era difficile a dirsi, forse la delusione di un’intera mattinata sprecata in un caffè, forse le rughe profonde di quel volto che sembravano avere storie altrettanto profonde da raccontare, fatto sta che poco dopo Grigorj Balanescu se ne stava comodamente seduto sulla poltrona del soggiorno nello studio di Manni con Waltraud che gli serviva un tè ai frutti di bosco che emanava un aroma che era tutto un programma.
Così tra una tazza di tè e l’attesa della sera Franzensfeste aveva convinto l’anziano Balanescu a raccontargli la sua storia. Era una lunga storia di migrazione, viaggi, cinema, fotofobia e mal di denti.
Era cominciato tutto in Romania, tanti di quegli anni prima che Grigorj ne aveva perso il conto. Era stato quando i nazisti rastrellavano i villaggi della campagna rumena in cerca di ebrei da deportare. Lui non era ebreo, ma suo nonno temeva che i tedeschi scoprissero che anche in lui c’era qualcosa che a loro non andava a genio, così se lo era caricato in spalla e dopo aver attraversato un po’ di frontiere verso sud si erano imbarcati alla volta di qualunque posto fosse abbastanza lontano dai tedeschi e da Hitler. E quel posto si chiamava New York. Lo aveva detto anche Humphrey Bogart in Casablanca: c’erano certi quartieri di New York che sarebbe stato imprudente cercare di invadere. Lì Grigorj era diventato ragazzo. Il nonno, che ben sapeva cosa fosse a fare di lui un ragazzo particolare, si era stabilito nei bassifondi più oscuri, lì dove il sole non filtrava neppure di giorno. In quei bassifondi oscuri come la notte, Grigorj Balanescu aveva imparato a conoscersi, a conoscere i propri denti ed i propri istinti.
Ed aveva imparato a controllarli. Mettendo, una volta cresciuto, la sua diversità a servizio del cinema.
Aveva vent’anni quando Bela Lugosi lo assunse come consulente. Un Lugosi agli sgoccioli, non ancora alla frutta come sarebbe stato alla corte di Ed Wood, ma non più sugli altari, costretto ad interpretare la propria parodia in film intitolati Old Mother Riley Meets The Vampire, Bela Lugosi Meets a Brooklyn Gorilla o addirittura farse con Gianni e Pinotto.
Franzensfeste ascoltava incantato. Ci fosse stato Bobbi Sudtirolo, lo avrebbe ingaggiato per farci un film, sulla sua vita.
Grigorj Balanescu era il più improbabile dei vampiri, con la faccia gonfia ed il nervo del canino sinistro devitalizzato non incuteva troppa paura, era anzi lui l’impaurito, attento a non esporsi troppo alla luce del sole, come il vecchio nonno gli aveva insegnato fin dai tempi di New York. Altro che Vlad l’impalatore. Lui era il prototipo del vampiro buono, se mai qualcuno aveva provato ad immaginarsene uno.
Dopo Lugosi era venuto il periodo Hammer, alla corte di Corman e Lee, nell’Inghilterra a cavallo tra crisi e boom. Film dopo film, era stato proprio in Inghilterra, a Londra, che aveva incontrato Roman Polanski .
“Vecchio Roman, lui portato me qui in Dolomiti, voi capisce? A fare altro film di vampiri.”
E come no, pensò Franzensfeste, Per favore non mordermi sul collo, in cui Polanski era anche il protagonista, al fianco della sua futura moglie poi massacrata dai seguaci di Charles Manson.
“Signora Sharon, lei molto bella. Grande pena per triste fine che lei fatto.”
Come dargli torto, si disse Manni accendendosi una sigaretta.
Aveva davanti a sé un pezzo di storia. Uno che era stato ad Ortisei a girare il film con Polanski, un vampiro vero, uno che però, glielo aveva confessato teneramente, non aveva mai morso nessuno.
E che ora, per giunta aveva un canino devitalizzato.
Dopo il film di Polanski, il signor Balanescu era rimasto in Sudtirolo Imperfetto, aveva comprato una casa all’ingresso della Val d’Ega, dove il sole batte solo per sbaglio ed era invecchiato serenamente, fino al giorno in cui il mal di denti aveva cominciato a perseguitarlo ed era diventato un paziente di Ciccio Ferroni.
Fuori stava rapidamente imbrunendo. Il sole a Bozen Town in dicembre va giù con una velocità incredibile, insostenibile.
Grigorj Balanescu guardò a lungo fuori della finestra, poi si scusò con Manni per avergli fatto perdere tutto il pomeriggio, chiese permesso e se ne andò.
Franzensfeste rimase alla finestra, guardandolo uscire dal portone e attraversare faticosamente la piazza affollata di gente che comprava addobbi, beveva vin brulé e ascoltava cori natalizi, fino a quando la sagoma ingobbita del vecchio scomparve in direzione della stazione delle autocorriere.

L’idea partì da una telefonata di Yvette Pontchartrain che lo invitava a cena la vigilia di Natale.
“Dovrei dirti di no.”
“Non se ne parla, detective.”
“Lo so, per questo ho usato il condizionale. Dovresti cercarti un uomo con cui passare queste feste, uno che ti voglia bene come meriti.”
“Non dire cazzate, mio figlio e tu siete gli unici uomini che mi interessano. E in ogni caso ci saranno anche i Poja e Wal.”
“Vedi, non saresti sola…”
“Zitto. Natale senza di te non sarebbe Natale, Manni.”
“Grazie, Yvette. Però vorrei chiederti di poter portare un amico…”
“Non starai cercando di appiopparmi un uomo?”
“Non ci proverei neppure, e questo poi è tanto vecchio da poter essere tuo nonno. No, dormi pure tranquilla che non sto cercandoti un compagno. Credo che se un giorno tu ti trovassi un uomo finirei col diventare geloso…”

Così andò a finire che Franzensfeste invitò il vecchio vampiro alla cena di Natale in casa Pontchartrain. Una cosa ancora lo assillava: avrebbe voluto fare un regalo al vecchio Balanescu. Un regalo, sì, ma cosa?
Cosa?
Chi.
Manni non dormì per una notte intera, poi gli venne la giusta folgorazione: voleva sì fare un regalo al vampiro, però il suo (neanche troppo) intimo cinismo gli imponeva di fare qualcosa di cattivo a qualcuno, che fosse magari anche il bene di una terza persona e non solo di Grigorj Balanescu.
Batté Bolzano palmo a palmo in cerca di Kessie Bayer.
Non la conosceva personalmente. Per la verità non ne sapeva nemmeno il vero nome, ma quello era l’alias con cui Bangor Grillparzer l’aveva ribattezzata nel suo libro Nelle scarpe di qualcun altro. Quello che Manni sapeva di lei era che si trattava di una donna cattiva e infelice, infelice di un’infelicità che la portava ad una cattiveria inammissibile. Kessie Bayer era una specie di vampira, ma non succhiava il sangue alla gente, lei si prendeva tutto.
Derubava le persone della loro vitalità, delle loro storie e se ne appropriava, non essendo in grado e non volendo più viverne di proprie.
Lo aveva fatto anche con Grillparzer un giorno, e lui ne aveva sofferto troppo.
Franzensfeste era sempre stato del parere che far soffrire uno come Bangor fosse una cosa di una cattiveria unica, come rubare in chiesa. Che avesse provato a far soffrire lui così, questa Kessie Bayer.

La trovò china su un tavolo della biblioteca civica, dove dopo il lavoro si arrabattava su testi di diritto con cui tentava di riempire quel della sua vita che le storie e vite altrui e la musica jazz non riuscivano a colmare.
Fu così che quel Natale, quando sotto l’albero in casa Pontchartrain aprì il suo regalo, il vampiro Balanescu trovò il corpo affusolato e impacchettato di Kessie Bayer che si dimenava protendendo inconsapevolmente il collo verso quei denti che non avevano mai morso.
Affonda i canini, vecchio Grigorj, pensò Franzensfeste, falle pagare il male che ha fatto e saziati, sverginando finalmente la tua bocca da morsi.


autore                                    
Paolo Carnevale