La notte era arrivata nuovamente, notte di plenilunio, che portava con sé ancora il freddo, che non potevo più sentire, sesso ed avventure, che non potevo più apprezzare. Contro il tondo gelido della luna piena vedevo la vecchia fabbrica abbandonata, con i suoi tubi che, seppur così distante , non riuscivo a racchiudere in un solo sguardo. Il nostro quartiere, quello in cui passavo la maggior parte del tempo, sembrava uscito da un vecchio film in bianco e nero, in cui, oltre alla pellicola, si erano disfatti anche gli scenari. Le uniche cose che stonavano erano l’asfalto che, anche se crepato in alcuni punti, era ancora liscio per la maggiore, e le due sfavillanti macchine che sopra ci avrebbero corso, di colori troppo contemporanei per la folla grigia, quasi accecanti nei riflessi, inarrivabili per noi reietti dell’oscurità. La strada, questo barlume del mondo che avevamo abbandonato a forza, iniziava a pochi metri dalle mie scarpe pesanti e polverose per finire nello stesso punto, dopo aver percorso il giro
di tutto l’isolato, composto dalla fabbrica e qualche palazzo in disuso.
Anche io ero venuto per la corsa, l’unico momento in cui le due tribù si riunivano, un po’ sorelle ed un po’ nemiche, pur sempre coetanee. Avevo portato due ragazzine raccattate in un vicolo della città mentre facevo un giro. Erano come prescelte, mi avevano aspettato, mi avevano guardato con occhi semplici sotto il trucco, mi avevano seguito scherzando sul mio aspetto misterioso. Ora, dopo aver fatto la mia puntata, erano scomparse tra la folla, ignare del perché fossero lì e soprattutto del perché non potessero andarsene.
Ma avevo altro da fare, quasi un obbligo morale: dovevo spiegare ad uno dei nostri come funzionava il sistema, e non era facile. Intendo che sarebbe stato difficile per lui capire, perché si era “risvegliato” da poco. Quando lo spiegarono a me, che ero uno dei primi, non volevo crederci, ma alla fine, si sa, l’abitudine ci fa adattare a qualunque cosa. Dopotutto ancora una base umana rimane, e l’uomo è animale adattabile. Anche se ormai, per me, l’uomo era animale e basta.
Intorno c’era chiasso, le due tribù battevano su tutto ciò che trovavano, bidoni, lattine, tubi, creando un ritmo che avrebbe accompagnato l’inizio della corsa. Il mio nuovo pupillo si sporgeva in punta di piedi per tentare di vedere qualcosa. Puzzava tremendamente di sudore rancido e di cantina, ma lo perdonavo perché non aveva ancora avuto il tempo di rimettersi in sesto. Si vedeva anche dai vestiti, di certo strappati in una lotta improbabile contro chi lo aveva iniziato: alcuni lunghi tagli sulla schiena lasciavano trasparire delle lunette di pelle, in un gioco di contrasti fra il nero lucido della maglietta ed il bianco cereo del suo corpo.
Il sistema. Il sistema non era facile, ma stava alla base di tutto. Era il gioco che faceva andare avanti o regredire una tribù. Era, per noi, il sistema della vita, e le possibilità erano due: o lo accettavi, o lo avresti accettato. Tutto stava nel trovare qualcuno che ti facesse credere di averlo accettato da solo. “Perché mi trovo qui?” chiese il ragazzo, guardandomi inquieto sempre sulla punta dei piedi.
Era la domanda che aspettavo.
“Come ti chiami?”
“Andrea” mi rispose, allungando il collo sopra la spalla di un altro spettatore.
“Piacere, io sono Flavio. Proverò a spiegarti tutto.”
Continuava a non essere facile. Dopo il trapasso la persona rimaneva in stato d’incoscienza per qualche tempo. Veniva lasciata in una baracca vicino alla pista, così alla sua prima uscita avrebbe incontrato gli altri, che avevano il compito di spiegargli le nuove disposizioni della sua vita. Per lo meno, così era per noi. L’altra tribù aveva regole che non ci era dato conoscere. Non è che fossimo in guerra, solo dovevamo sopravvivere. E così questo ragazzo era uno dei fortunati che si erano risvegliati per la grande corsa del plenilunio; sarebbe stato più facile per lui focalizzare il nuovo credo.
“Tu lo sai che non sei più quello che eri?”
La faccia del ragazzo era sperduta ed incuriosita quando passò la sua attenzione dalla pista al mio volto. Mi fissava con occhi attenti. Non capiva cosa stessi dicendo. Forse era meglio sbattergli la situazione in faccia subito; dopotutto non m’importava poi così tanto.
“In breve: sei diventato un vampiro, e questo comprende anche il fatto che ora sei proprietà di queste persone.” Con un cenno gli indicai il gruppo che faceva fracasso intorno a noi.”Non puoi staccarti dalla comunità, se tu ora lo facessi saresti perduto. Verresti trovato ovunque, quindi fattelo piacere.”
Il ragazzo mi guardava adesso con aria divertita. “Sì, certo...E quindi tu saresti un vampiro?” disse in tono di scherno. Guardando la mia faccia seria il suo sorriso vacillò un poco, ma gli rimase stampato sul volto.
“Preparati: non vedrai più nessuno della tua famiglia, a meno che tu non lo porti qui, nessuno dei tuoi vecchi amici. La tua vita adesso siamo noi.”
“Tu sei pazzo...”disse. Aveva perso la tranquillità, ma non il sorriso da presa in giro.
In lontananza si sentirono sirene e degli spari, poi più nulla; sino a quando la polizia non si fosse decisa ad attrezzarsi con paletti e proiettili d’argento avrebbe potuto fare ben poco oltre che essere morsa. Mi scappò un ghigno, che scoprì i miei canini lunghi il doppio del normale.
Il ragazzo sbarrò gli occhi ed iniziò ad indietreggiare. Non aveva il coraggio di voltarmi le spalle, né tantomeno di abbassare il suo sorriso. Non voleva crederci, e continuava a scuotere la testa mentre entrava all’indietro nella mischia, infastidendo gli altri del pubblico, che si giravano digrignando i denti.
Il neofito scelse il male maggiore: si girò ed iniziò a correre tra la folla, in breve svanendo alla mia vista. Qualcun altro, forse peggio di me, lo avrebbe istruito sul resto. Intanto io tentai di dimenticarlo e mi concentrai sulla corsa che stava per iniziare. Sono cose che succedono al giorno d’oggi.
***
La ragazza, stretta in un completino di lucida pelle nera, stava tra le due macchine in piedi. I finestrini erano oscurati, e non poteva vedere chi stava al volante, ma comunque faceva la scema col pubblico, lanciando baci e barcollando sui tacchi a spillo tra il metallo bollente delle vetture. Era strafatta, più delle precedenti, e c’era il rischio che cadesse sotto una delle macchine alla partenza. Non importava: il giro di scommesse si era ampliato talmente tanto che uno in più od uno in meno non faceva poi differenza. All’inizio l’avrebbe fatta, ma ora eravamo arrivati così in là che non importava più a nessuno. Il sistema continuava, come una macchina, ad inghiottire persone. Le due tribù godevano di grande fortuna, prosperavano come parassiti all’insaputa dell’uomo, facendo leva sulle sue debolezze.
Le macchine rombavano ed il loro carburante sarebbe stato adrenalina pura. Le tribù, raccolte dietro il pubblico umano che odorava di cibo in modo insistente, erano in fibrillazione. La corsa avrebbe portato nuova linfa alla specie, solo che ancora non si sapeva a quale delle due. Chi avesse vinto la gara avrebbe aggiunto membri alla tribù di scommettitori.
Il rombo delle macchine si quietò un attimo, giusto il tempo perché potessi vedere la ragazza starter raddrizzarsi ed urlare il via. Le ruote stridettero, un lungo grido di battaglia, e le due vetture iniziarono a divorare la striscia di asfalto caldo ed aderente. La starter cadde per terra un secondo dopo esser stata superata e rimase a gambe all’aria a ridacchiare, circondata da nuvole di fumo e terra smossa.
La pista non era lunga, un giro solo e che vinca il migliore, e le ultime scommesse, esclusivamente nelle retrovie del pubblico, erano state emesse. Il momento di silenzio contemporaneo alla partenza si era già liquefatto, sostituito da un brusio che presto si era fatto baccano. Qualcuno tossiva per il fumo di sigaretta e spinelli che impregnava la mischia, nonostante ogni tanto una ventata di aria fresca portasse un po’ di sollievo. Fra gli scommettitori scoppiavano le prime risse, tutti volevano avere ragione sul vincitore.
Un licantropo mi passò velocemente accanto, in un turbinare di odori acri, con una bottiglia rotta in mano, scontrandomi talmente forte da farmi quasi cadere a terra. Irritato, lo seguii con lo sguardo e vidi che stava andando a conficcare la bottiglia proprio in faccia ad uno dei nostri, che a sua volta tentò di colpirlo con un pugno. Intervenne un vampiro grande e grosso che li divise tenendone uno da una parte ed uno dall’altra. Li guardai: il licantropo se la rideva di gusto in faccia al vampiro, che lo guardava torvo mentre la ferita sul volto si rimarginava.
Finita la scenetta iniziai a spostarmi tra la folla, in attesa dell’arrivo delle macchine e per vedere se incontravo qualche volto conosciuto con cui dividere il mio tempo. Notai la ragazza che aveva dato il via che in qualche modo era riuscita a barcollare lontana dalla pista, ed ora stava sotto braccio ad un uomo che le accarezzava i riccioli neri; un umano sembrava, anche se non era facile dirlo alla sola luce della luna piena neppure per un vampiro.
Camminai sino a quando, dopo non molto a dire il vero, vidi Andrea, il ragazzo dell’inizio della corsa, accucciato per terra in un angolo. Dopo una breve indecisione iniziai ad avvicinarmi. Intanto sentii un umano che annunciava che la macchina rossa era in testa, glielo aveva detto un amico per cellulare. Sorrisi tra me e me: la macchina rossa era la nostra. Forse ci sarebbe stato da divertirsi. Ad ogni modo erano ancora lontane dal traguardo, c’era tempo per parlare col mio nuovo amico.
Schivai nel tragitto una ragazza licantropo che, ubriaca o fatta di qualcosa, tentava di offrirmi le sue grazie. Il suo alito puzzava di bestia e di alcool, le sue mani che, un po’ deformi, uscivano da guanti di pelle stracciati tentarono di afferrarmi per le spalle, ma il suo abbraccio prese solo l’aria accanto a me.
“Ciao” dissi accucciandomi vicino al ragazzo nella fanghiglia piena di spazzatura. Notai più da vicino che stava tremando. Non rispose.
“Non ti sei ancora abituato, eh? Ma ce la farai...Qualcuno ti ha spiegato come mai sei qui?”
Il ragazzo, senza alzare lo sguardo su di me scosse violentemente la testa. Ancora poco ed avrebbe avuto le convulsioni, era troppo nervoso, come un animale braccato. Ci sono quelli che non reggono il trapasso.
“Mmm...ok. Se continui a comportarti così, però, fai passare a chiunque la voglia di parlarti, anche a me.” Lo guardai per vedere se dava segni di attenzione, ma era rimasto con lo sguardo a terra. Forse era diventato completamente pazzo. A volte capita ai nuovi.
“Allora ti spiego in breve cosa sta succedendo: che sei diventato un vampiro lo sai già, ma tenterò di darti un perché...Qualche anno fa proprio qui, su questa strada, si svolgevano corse clandestine di macchine come oggi. Una di quelle notti alcune persone al di fuori del giro avvicinarono due che invece c’erano in mezzo sino al collo. Gli dissero che potevano denunciarli, perché avevano a che fare con la polizia, oppure farli ricchi; ovviamente i due scelsero la seconda, che consisteva nel fare da cavie, anche se, ben inteso, la faccenda non venne messa in questi termini, per un esperimento.
Quando i due tornarono alle corse erano diversi; l’esperimento aveva creato due nuove razze, che si aggiunsero a quella umana: i Vampiri ed i Licantropi.”
Il ragazzo aveva a questo punto se non altro alzato il volto, ed ora mi fissava con occhi un po’ stralunati, adombrati da ciuffi di capelli unti. Forse aveva solo bisogno di chiarezza, quindi continuai il mio racconto. Mi accorsi che facevo tutto questo perché avevo bisogno di un amico. Sentivo la solitudine come se fosse fatta di tanti spilli che mi pungevano tutto il corpo, a volte.
“La prima cosa che fa una nuova razza è ovviamente moltiplicarsi, quindi i due iniziarono a far proprie il più persone possibili tra quelle che partecipavano alle corse. Quando ci fu un folto gruppetto si divisero in due tribù e vennero create nuove regole per portare avanti la specie. Poiché alla base, all’inizio di tutto, c’era stata una corsa di macchine, questo divenne un po’ come una nuova religione, un rituale. Così solo quella delle due tribù che vince la gara può per quella notte creare nuovi adepti. Questo è il regolamento, la base della nostra società. Questo è il motivo per cui ti trovi qui.”
Ora sapevo che veniva il difficile, la cosa che per me era stata più ardua da accettare. Un po’ mi dispiaceva dirglielo così, davanti a tutti. Era come umiliarlo, denudarlo.
“Ed il motivo è anche un altro...Ricordi chi ti ha portato qui l’ultima volta?”
Il giovane sorrise un po’ stentato, gli occhi persi nel ricordo.
“Certo...Ho conosciuto una ragazza in un pub con amici ed ho seguito lei.”
“Ecco...Credo che la rincontrerai...Una delle regole è che le scommesse non vanno pagate con soldi, ma con...vite umane. Vedi tutte quelle persone lì davanti?”
Annuì.
“Ecco, quelli sono tutti uomini ignari di quel che li attende. Diventeranno Licantropi o Vampiri a seconda di chi vincerà questa sera: macchina rossa Vampiri, macchina gialla Licantropi. Tu, così come anch’io a mio tempo...sei stato portato qui per pagare una scommessa, e l’ultima corsa, quindi la tua vita, è stata vinta dai Vampiri.”
“Cioè...io sono stato usato come denaro per scommesse?” La domanda era più a se stesso che a me, quindi non risposi. Intanto sentivo già il rombo delle macchine che si avvicinavano. Volevo assistere all’arrivo, sapere se ci sarebbero stati nuovi componenti per la mia tribù. Mi alzai in piedi, e così fece Andrea. Aveva il viso scuro, arrabbiato. Si sentiva impotente, e conoscevo la sensazione.
“Stanno arrivando” gli dissi, anche se era scontato.
Mi avvicinai alla pista, sporgendo il collo il più possibile, ma non vedevo molto ugualmente. Mi consolai pensando che tanto la gente avrebbe urlato, ed avrei capito solo con qualche secondo di ritardo rispetto agli altri chi fosse il vincitore. Pensavo già alle due adolescenti che avrei morso con gusto se avessi vinto la scommessa. Mi scostai un poco perché un licantropo davanti a me agitava in aria le braccia e rischiava di prendermi sul viso. Il ritmo tribale, battuto dalle tre specie assieme, Licantropi, Vampiri e gli ignari Umani, era ricominciato. Nonostante gli sforzi il mio respiro teneva il tempo.
Vidi la ragazza del via che barcollava accanto a me. Non avrebbe dovuto essere tra il pubblico; una delle regole, forse più una tradizione della corsa, era che la ragazza del via sarebbe stata la prima ad essere morsa, direttamente dal pilota vincitore, che avrebbe così dato inizio al rituale. Mi girai verso Andrea per metterlo al corrente di quell’usanza, indicando la ragazza.
Che sorpresa provai voltandomi però, perché il giovane, che si era tenuto un po’ lontano da me, si era lanciato sulla ragazza e le stava mordendo il collo. Rimasi a bocca spalancata. Lei tentava di conficcargli le unghie nella carne, ma sapevo che non sarebbe servito a nulla, ed infatti già il sangue, vivo e caldo, colava sul colletto della sua giacca di pelle. I miei pensieri si fermarono qualche secondo, per impennare subito dopo. Se non fossi stato morto da un pezzo probabilmente sarei arrivato vicino all’infarto. La mia prima reazione fu quella di correre verso i due per separarli, ma mi fermai quasi subito, iniziando a sparire tra la gente. Avrei potuto essere accusato dell’accaduto e sarebbero stati guai grossi. Potevano accusarmi di essere un traditore, buttarmi come un reietto in mano ai Licantropi.
Indietreggiando mi mischiai tra la folla, in tempo per vedere la macchina gialla arrivare per prima al traguardo. Un secondo dopo la macchina rossa superò la linea, finendo in un testacoda come per invidia. I bagordi sarebbero stati per i Licantropi quella sera, ma sarebbe stata una lunga nottata a giudicare da quel che avevo visto poco prima: non riuscivo a togliermi di testa l’immagine di quel sangue che colava sulla pelle nera; la mia scommessa era ormai lontana come una vecchia fotografia. Forse se ne sarebbero accorti in tempo ed avrebbero cambiato la ragazza...Ad ogni modo non volevo entrarci.
Invece vidi che, per metà incosciente, la starter veniva spinta nella macchina gialla. I suoi occhi erano bianchi, rivoltati all’indietro, la testa ciondoloni dal collo. Questa azione rimase quasi nascosta nel fracasso di gente che urlava, spaccava bottiglie, imprecava. Molti Vampiri avevano già iniziato ad andarsene, delusi, tra i lazzi dei Licantropi in festa. Venivo spintonato di continuo, io, l’unico che sapeva che stava per succedere qualcosa che sarebbe stato difficilmente dimenticato. Cosa sarebbe accaduto? Non potevo fermare il tempo, né i vincitori, che di sicuro mi avrebbero ucciso.
Guardai tra il pubblico, in cerca della soluzione, e non vidi nulla di rassicurante: il ragazzo era scomparso chissà dove; i Licantropi avevano già iniziato la trasformazione, peli rossicci e neri crescevano su molti volti, uscivano dagli strappi dei vestiti di parte della folla, i volti si deformavano come toccati da un invisibile bisturi. Sino a quel momento erano stati in incognito per non spaventare le vittime, mescolandosi a loro, ma ora esplodevano in tutta la loro forza, bestiale e divina allo stesso tempo. Gruppi di uomini, terrorizzati ed accerchiati, urlavano. Era un vero trionfo per quei bestioni; devo ammettere che la nostra trasformazione non è mai stata all’altezza.
Guardai la macchina gialla allontanarsi, e sperai che fosse stato tutto un’allucinazione, ma non durò molto: dopo poche centinaia di metri la vettura sembrava aver perso il controllo, ed aveva iniziato a sbandare. Chiusi gli occhi per non guardare l’impatto contro il muraglione che delimitava il tratto di strada. Il rumore di lamiere piegate e vetri infranti tagliò il silenzio improvviso come un pugnale. La folla, esclusi alcuni Umani che ebbero la prontezza di scappare, trattenne il respiro mentre la macchina rimaneva lì, ferma in enormi volute di fumo nero, come se fosse sempre stata parte del muraglione.
Pian piano alcuni iniziarono ad avvicinarsi, sempre in silenzio, come gatti al chiaro di luna. Dopo i primi impavidi si avvicinò la folla, ed io con gli altri. Nonostante la paura ero troppo incuriosito; nessuno, credo, sapeva quello cui avevo assistito, c’era troppo baccano ed il pubblico era assorto dall’arrivo delle macchine. Il nostro pilota era rimasto immobile a lato della scena; non si era mai vista una collisione così.
Qualcuno iniziò a gridare che la corsa era stata truccata, che c’era stato un tradimento, ma erano voci isolate. Il pubblico era talmente shockato che non riusciva a provare emozione.
Ad un certo punto, a chi aguzzava gli occhi, sembrò che qualcosa dietro i vetri scuri si muovesse. Anche i pochi fomentatori tacquero. Le portiere poco alla volta si aprirono e ne scesero il pilota e la ragazza. Il pilota mezzo lupo digrignò i denti mentre il sangue sul suo viso si coagulava e mostrò canini lunghissimi. Una nuova specie era nata. La folla iniziò ad indietreggiare, me compreso.


autrice                                    
Emanuela Agrini