"Che romantico questo Dracula..."

C'era una volta il conte Dracula, il vampiro della Transilvania. O meglio c'era una volta un nobile romeno che non era conte ma principe, non era transilvano ma valacco, non veniva chiamato "Dracula" se non occasionalmente e soprattutto non era un vampiro.
Vlad Tepes (1431-1476) rimane nella storia della Romania una figura controversa. Principe di Valacchia, venne in origine soprannominato "Dracula" (cioè "figlio di Dracul": di Vlad Dracul, 1390-1447, il padre e predecessore sul trono di Valacchia) ma passò alla storia con il soprannome di "Tepes", cioè "impalatore", dal supplizio che usava per i nemici e che aveva imparato dai turchi.
Spietato ma coraggioso, temerario ma capace di improvvise ritirate strategiche (che lo portarono, per esempio, dalla Valacchia invasa dai turchi in Transilvania), Vlad Tepes è per alcuni storici il primo sovrano capace di pensare alla Romania come a un moderno stato nazionale, per altri un tiranno cinico e brutale capace perfino di alleanze sotterranee con i cattolici e con i turchi pur di sottrarre potere ai feudatari rivali della sua stessa religione ortodossa.

I vampiri non c'entrano granché. L'idea che alcuni morti possano uscire dalla tomba di notte e attaccare i viventi per nutrirsi del loro sangue è di origine molto antica e si ritrova presso molti popoli, dai greci ai romani e dagli indiani ai cinesi. A partire dalla fine del Seicento autentiche crisi di paura collettiva dei vampiri dilagarono nell'Europa dell'Est dall'Istria all'Ungheria e dalla Polonia alla Serbia; la Transilvania e la Valacchia rimasero in realtà alla periferia del fenomeno. Alla fine del Settecento si spensero le ultime crisi di panico vampiristico collettivo, ma della figura del vampiro cominciarono a impadronirsi i poeti, da Coleridge a Keats e da Goethe a Byron. I morti che uscivano dalle tombe negli incubi dei contadini dell'Europa orientale nel Seicento e nel Settecento non avevano nulla di affascinante: si trattava, in genere, di vecchi compaesani morti con una cattiva reputazione. Sono i poeti romantici a fare del vampiro un personaggio affascinante, quasi sempre aristocratico, colto e bello. Dalla poesia il vampiro passa alla prosa. Il romanzo dell'irlandese Bram Stoker (1847-1912) pubblicato a Londra nel 1897 non è il primo, ma è il più famoso. Stoker chiamò il suo vampiro "Dracula", ispirandosi al principe valacco che aveva lasciato una fama sulfurea per il modo in cui trattava i nemici e che lo scrittore trasformò - sbagliando, appunto - in un conte transilvano. L'identificazione fra Vlad Dracula o Vlad Tepes - per molti un eroe nazionale - e il vampiro non fece piacere ai romeni, e il romanzo di Stoker non venne tradotto né nella Romania monarchica né in quella di Ceausescu. La prima traduzione ha dovuto attendere la caduta del comunismo, ed è uscita nel 1991. Ceausescu, peraltro, si fece convincere a fare costruire in Transilvania al Passo di Borgo (il luogo dove Stoker colloca la dimora del suo vampiro) un albergo "Castle Dracula" ad uso dei turisti americani, sfortunatamente lontano parente anche nell'architettura di quello del romanzo ottocentesco. Caduto Ceausescu, gli entusiasti di Dracula - numerosissimi nel mondo (il romanzo di Stoker è il quarto libro più letto di tutti i tempi, e Dracula insieme a Sherlock Holmes è il personaggio più ripreso nel Novecento da autori diversi dal suo creatore) - hanno potuto organizzarsi anche in Romania, dove è nata una Transylvanian Society of Dracula che ha ora potuto proclamare il 1995 "anno di Dracula" e celebrare un congresso mondiale itinerante che ha portato un centinaio di docenti universitari (storici, sociologi, folkloristi) e altrettanti appassionati e giornalisti in giro per la Romania per una settimana, sui luoghi sia del Vlad Dracula storico che del conte Dracula immaginario di Stoker.

Chi scrive - tra i relatori del congresso insieme a nomi noti della sociologia della religione, da Eileen Barker a J. Gordon Melton - ha una buona esperienza di convegni, ma questo romeno su Dracula (o piuttosto sui vampiri) non è stato simile a nessun altro. Se si superano le difficoltà di un'organizzazione non ancora del tutto pronta a ricevere un turismo complesso - e il folklore che ha chiesto agli accademici di stare al gioco - rimangono le montagne della Transilvania e della Valacchia, fra le più belle del mondo, le tradizioni popolari contadine ancora vive nei villaggi più discosti dalle strade di grande comunicazione, e la scoperta che sul tema del vampiro specialisti di campi diversi - che in parte si sono incontrati per la prima volta proprio al congresso - possono dare vita a discussioni di grande interesse culturale. Gli studiosi hanno ora a disposizione con le novecento pagine di The Vampire Book di J. Gordon Melton (Visible Ink, Detroit 1994) una vera e propria bibbia sul tema. Per i non specialisti - attendendo gli atti del congresso, che si annunciano appassionanti - rimangono soprattutto due domande: "esistono" i vampiri? e perché appassionano tanta gente, dalla letteratura ai fumetti e ai film? Benché nell'Ottocento (ma non nel Settecento, quando la gerarchia della Chiesa cattolica si mise piuttosto alla guida degli scettici) qualche demonologo abbia ipotizzato che il Diavolo - come può possedere un vivente - possa servirsi anche di un cadavere, come di una sorta di manichino animato, e trasformarlo in un "vampiro", oggi la credenza nel vampiro come "non-morto" alla Stoker è in genere respinta anche dagli esorcisti e dai parapsicologi (ma è condivisa da un sorprendente 20% degli studenti liceali americani secondo una ricerca della folklorista Norine Dresser). Esistono invece, naturalmente, i "vampiri" come essere umani vivi e vegeti che bevono il sangue dalle vene di "donatori" volontari o di vittime involontarie: nel secondo caso si tratta di psicopatici che di tanto in tanto si affacciano nelle cronache criminali, nel primo di feticisti di un genere particolare o di membri di piccoli movimenti magici "vampiristici" (che di solito succhiano il sangue dei "donatori" non dal collo - la manovra è difficile e dolorosa - ma, più prosaicamente, da un dito punto con un ago sterile). Con questi "vampiri" non vanno confuse le migliaia di persone che collezionano libri e oggetti relativi a Dracula, leggono romanzi su vampiri diversi da Dracula come il Lestat di Anne Rice o il Saint-Germain di Chelsea Quinn Yarbro, o si iscrivono a organizzazioni come l'americano Count Dracula Fan Club. Tutti costoro - e i milioni di lettori di Bram Stoker dal 1897 a oggi - vedono nel vampiro un archetipo del male più vicino e inquietante rispetto allo stesso Diavolo. Il vampiro, infatti, non è un angelo caduto ma è uno di noi, e - esaminato con serietà - ci costringe a riflettere sulla domanda seria relativa al male che si nasconde nel cuore di ogni uomo.