Le luci stroboscopiche della discoteca mi accecano La musica assordante mi penetra nel cervello, propagandosi nei muscoli, e mi sembra di vibrare a tempo con il ritmo ossessivo. Ho il cuore in fibrillazione : sono quasi le tre ed ancora non ho agganciato nessuno. Forse ho sbagliato serata.
Mi guardo intorno per l’ennesima volta, cercando di scrutare attraverso la muraglia dei corpi in movimento qualcosa che susciti il mio interesse.
Sospiro. Da qui non riesco a vedere nulla, sarà meglio che cambi postazione. Afferro il mio bloody mary ancora intatto e mi allontano dal bancone del bar. La ragazza dei cocktail mi segue con sguardo languido.
Sento che mi sta guardando il culo, messo bene in evidenza dai jeans firmati di ottimo taglio. Potrei cercare di portarmi a casa lei, sarebbe facile, ma è troppo magra per i miei gusti. Me la riserverò come ultima possibilità.
Mi sposto verso i bordi della pista evitando accuratamente gli specchi : per trovare conferma al mio aspetto mi basta osservare l’espressione ammirata che accompagna il mio passaggio.
Una volta una ragazza mi ha detto che ho un look metrosexual. Non sapendo cosa volesse dire ho dovuto fare una ricerca su internet.
Effettivamente la definizione mi calza a pennello : ho una cura maniacale del mio fisico e dell’abbigliamento. La natura mi ha dotato di una bellezza notevole ed io, per così dire, la faccio fruttare per i miei scopi. Con il mio metro e ottantatre, un viso aristocratico, i lunghi capelli biondi e occhi verdi non ho problemi a rimorchiare. Per fortuna.
Da quando mi sono trasferito a Roma, il Muccassassina ed il Gilda, frequentati da un migliaio di persone ogni sera, sono la mia riserva di caccia prediletta. Non ho mai difficoltà ad incantare qualcuno ed a convincerlo a seguirmi nella mia tana, una splendida villa sull’Appia antica, dotata di tutte le comodità ed attrezzata per i miei giochini. Un brivido di eccitazione accompagna questo pensiero e mi fa leccare le labbra. Ho una gran sete, ma il bloody mary mi fa schifo e non ce la faccio nemmeno a portarlo alla bocca senza provare un’ondata di nausea.
Il mio sguardo è attratto da un bellissimo ragazzo bruno. Mi sorride con fare invitante, giocherellando in maniera ambigua con il bicchiere che tiene in mano. Gli restituisco il sorriso ma nulla più. Stanotte non ho voglia di un maschio.
Poi all’improvviso la vedo. Alta quasi quanto me, con i capelli tinti di un rosso fiammeggiante e piuttosto in carne, ondeggia su lunghe gambe lasciate scoperte da un microabito nero. E’ perfetta.
La avvicino con sicurezza e le mormoro le sciocchezze di rito all’orecchio. Lei ride, rovesciando indietro la testa. Ha un collo sottile da cigno, incantevole.
Il ragazzo bruno si allontana, lanciandomi un’occhiata a metà tra il rimprovero ed il rimpianto.
Magari la prossima volta, penso.
La rossa mi dice di chiamarsi Ivana, ed ha ventidue anni. Avverto nel suo alito un lieve sentore di alcool e questo un po’ mi disturba, ma sono stanco e non ho voglia di mettermi alla ricerca di qualcun altro. Senza troppi preamboli le chiedo se vuole seguirmi a casa mia.
Lei accetta. Ovviamente.
In macchina armeggia un po’ con la cerniera dei mie jeans, rischiando di farmi uscire fuori strada.
Allontano la sua mano gentilmente ma con fermezza. Non voglio essere fermato dalla polizia.
La mia immodesta dimora la sorprende. Con gli occhi spalancati contempla i preziosi mobili di antiquariato, i quadri ed arazzi appesi alle pareti, i reperti archeologici greco-romani.
La trascino su un divano, cercando il suo collo con le labbra, ma lei mi respinge, ridendo.
Ha voglia di fare conversazione. Mi chiede di me, di ciò che faccio. Non sa nemmeno il mio nome, ancora. Sembra sinceramente interessata, così soddisfo la sua curiosità.
Le dico che mi chiamo Vareno e che sono nato milleseicentosettantatre anni fa a Massalia, nella Gallia Narbonese, sotto l’imperatore Costantino.
Lei ride più forte e mi chiede qual è il segreto che mi fa apparire tanto giovane.
“Il sangue” le rispondo, e nuovamente accosto la bocca al suo collo.

di Vareno