“Perché? Dannazione!… Perché’ è sempre freddo e piove quando ti svegli di notte senza sigarette! “
Impreco’ Clarissa scalciando via le coperte dopo essersi rivoltata per un’ora nel letto sfatto. Velocemente s’infilo’ i jeans, un maglione ed il vecchio giaccone un po’ grattato, di pelle, colore indefinibile e sbattendo la porta usci’ di casa.
Naturalmente Milano non era deserta, non lo è mai con l’unica eccezione del quindici d’agosto all’alba.
Salto’ in macchina e dribblando i camion dell’immondizia e del lavaggio strade si mise alla ricerca di un tabaccaio aperto. Dopo alcuni minuti le luci verdi e bianche di un bar tabacchi aperto l’attrassero come una calamita, fatto rifornimento e dopo aver tirato una lunga intensa boccata che lascio’ andare piano fra le labbra di senti’ un po’ meglio.
Certo era stata una giornata di merda, conclusasi con una notte infame! Se solo in ufficio le cose fossero marciate un po’ meglio, il capo non avrebbe dato in escandescenze prendendosela con lei per le fesserie di un’altra, ma vaglielo a spiegare fuori com’era. Cosi’ aveva dato buca all’appuntamento con Carla e i suoi due amici guadagnandosi una filippica d’insulti nella segreteria telefonica. Vigliaccamente non aveva neppure risposto al telefono.
Lentamente si diresse verso la macchina. Il parco era dinanzi a lei, si senti’ come attratta e vi si diresse, seduta su una panchina si accinse a terminare la sigaretta prima di risalire in auto, forse ne fumerò’ due.
Chiuse gli occhi un’instante cercando di ricordare Luca. Pensare che aveva veramente creduto di amarlo! Allora cosa la faceva stare cosi’ male? Forse era l’abitudine di dividere le mille cose di una vita con qualcuno che le mancava.
Qualcuno con cui fare nuove scoperte, con cui stupirsi di quanto e’ bella la neve che cade; con cui fare l’amore dopo una giornata grigia per farla risplendere.
Qualcuno come Luca, ora poteva ammetterlo, non era mai stato. A niente era concesso disturbare i suoi momenti di joga, la casa doveva essere perfettamente in ordine. Maniaco della puntualita’, incapace di accettare per buono qualcosa che non fosse nel suo programma, incapace di accettare il suo carattere allegro ed ottimista.
Ora quasi non ricordava neppure piu’ che aspetto avesse avuto.
Seduta sulla panchina al freddo con la sigaretta quasi abbandonata dalle dita e la fronte corrugata per la concentrazione non si accorse di non essere più’ sola.
“Dammi i soldi!” Sibilo’ una voce nel suo orecchio mentre una zaffata d’odore le aggrediva le narici e sul collo sentiva il gelo di una lama.
“Si” Farfuglio’ aprendo di scatto gli occhi e vedendo dinanzi se una figura con un cappello ed una sciarpa disgustosamente sporchi, che coprivano in sostanza tutto il viso dello sconosciuto.
L’uomo, quando la vide dimenarsi per prendere il portafoglio l’aggredi’ e la travolse con il proprio corpo.
Poi fu tutto come in un film messo a doppia velocità’ , lo sconosciuto spari’ da davanti a lei e atterro’ contro un albero di fronte con un nauseante rumore d’ossa rotte.
Schizzo’ in piedi e si guardo’ attorno: nessuno. Il panico prese il sopravvento sì giro’ e scappo’ verso l’auto.
Solo quando fu a casa con la porta chiusa contro le sue spalle si concesse di ripensare all’avvenimento e a chiedersi come.
Occhi brillanti, occhi vecchi, occhi curiosi fissarono la facciata del palazzo e quando la luce dietro la finestra al terzo piano si illumino’, l’ombra di un sorriso aleggio’ sulle labbra pallide.
“Merda! Ma che cavolo è successo a quel barbone?” Borbotto’ Clarissa versandosi un’armagnac che bevve d’un fiato bruciandosi la gola, lentamente le lacrime iniziarono a scorrerle sulle guance ed un tremito a scuoterle il corpo. Parecchio tempo dopo un rumore conosciuto si fece strada nella sua consapevolezza: la sveglia del comodino.
Era ora di alzarsi e tornare al lavoro.
Una bella doccia fredda la sveglio’ completamente e le diede la sensazione di essere un poco più’ pronta ad affrontare un’altra giornata. Da quel momento inzio’ la solita routine, l’armadio, l’abito “da ufficio” il trucco, non avendo voglia di pensarci lego’ i capelli rossi in una morbida coda con un fiocco verde.
L’immagine che lo specchio le rimando’ era quella classica una donna in carriera pronta ad un importante meeting.
Trasse un profondo respiro e afferrato il cappotto usci’.

Il fumo del sigaro del cliente la disturbava irritandole le narici e pizzicandole la gola e facendole lacrimare gli occhi gia’ gonfi ed irritati.
Cercava disperatamente di concentrarsi sulle obbiezioni rivolte ai bozzetti esposti in bella vista lungo la parete. Invece la sua mente era lontana: continuava a rivivere quel momento l’alito puzzolente, il freddo della lama la pressione di quel corpo sul suo, l’improvviso sollievo … quel rumore… e… c’era qualcosa d’altro, qualcosa che aveva solo intravisto un’ombra dietro un’albero mentre scappava. Un’ombra, che i suo istinto le diceva avere a che fare con ciò’ che era successo.
“Signorina Langeri, è ancora fra noi?”
“Certo, scusatemi, ma ho passato una nottataccia, forse un caffe’ doppio mi aiuterebbe un pochino” Disse Clarissa allungando una mano verso la brocca del, disgustoso, caffè’ americano che abbondava sempre a quelle riunioni.
La riunione duro’ per quattro ore rendendo a tratti i partecipanti idrofobi, o le scenografie proposte per gli spot non erano gradite al cliente, o quelle proposte dallo stesso erano costosissime o irrealizzabili, se non a computer, ma il fetente voleva la realtà'
Come se avesse potuto distinguere la differenza, la loro agenzia era rinomata per i suoi maghi del computer di immagini.
“Che ne pensi?” Chiese Clarissa al capo in una frazione di pausa. “Ha il budget stretto come il suo deretano, ma la spuntiamo noi” Annuncio’ ottimista.
Speriamo, si auguro’Clarissa che ormai sentiva sulle spalle tutto il peso della notte in bianco e dell’avventura notturna e non vedeva l’ora di infilarsi in un bel bagno caldo e poi a letto.
“Senti ormai qui siamo alla fine, vai a casa. Cristo, hai la faccia di una tossica strafatta” Le disse mentre le chiudeva la porta della sala riunioni lasciandola fuori.
Fisso’ solo per un’instante la porta chiusa poi con una gallica scrollata di spalle ritorno’ a casa.
Per fortuna a quell’ora insolita il metro’ era quasi vuoto, ed arrivo’ a casa in un lampo.
Fu molto più’ veloce a spogliarsi che la vasca a riempirsi, aspetto’ quasi impaziente che l’acqua salisse di livello e fosse alla temperatura voluta, inghiotti un tavor e si immerse con un sospiro di gioia.
Accese una sigaretta e lasciò che il tepore e la musica in sottofondo la distendessero.
Trascorsi alcuni minuti, si alzo’ ed inizio’ ad asciugarsi le gocce che le correvano in rivoletti lungo il corpo.
Tolse la pinza dai capelli che ricaddero in morbide onde sulle spalle e staccato il telefono si infilo’ a letto.
Nel giro di pochi istanti era già’ nel mondo dei sogni cullata dalla musica che aleggiava bassa e confortante.
Gli occhi erano ancora li’, dietro l’angolo, occhi che osservavano, occhi che spiavano, che aspettavano solo che la luce si spegnesse nella finestre del terzo piano.
“Prego, si accomodi le tengo la porta”
“Grazie molto gentile” Disse la donna spingendo fuori la carrozzina dal portone d’ingresso.
“Di nulla” Disse l’uomo entrando.
Dal piccolo atrio si arrivava ad un antiquato ascensore a gabbia di ferro circondato dalla scala, sali’ a piedi senza fare quasi alcun rumore.
Gli occhi si puntarono sulla porta. Una mano pallida estrasse dalla tasca un sottile attrezzo d’acciaio e fece scattare la serratura della porta, aprendola poi altrettanto silenziosamente e richiudendosela alle spalle.
Lentamente prendendo confidenza con l’ambiente che lo circondava si aggiro’ nella sala, un grande schermo televisivo, videoregistratori, cassette noleggiate, un comodo divano, una libreria straripante di libri, la vera tana di un single. La cucina era invece una sorpresa, li’ vi era un’aria vissuta, un’aurea di convivialita’ di chi amava cucinare ed avere ospiti a cena. In un angolo a terra vicino alla spazzatura vide i jeans il maglione ed il giaccone di pelle.
Con un clic la musica s’interruppe lasciando come colonna sonora solo il rumore della strada e degli altri appartamenti. La figura lasciò la cucina e si diresse verso la camera, il riscaldamento era ancora acceso quindi per il caldo Clarissa aveva spinto un poco indietro il piumino. Dormiva supina con un braccio ripiegato sopra al capo e l’altro abbandonato sopra le coltri, i capelli le incorniciavano il volto ora disteso.
Pallide dita le sfiorarono la guancia scesero lungo la gola e proseguirono tracciando antichi disegni sulla pelle che rabbrividiva, più’ giù’, Clarissa si giro’ scoprendosi ancora di più’ allo sguardo di quegli occhi freddi, ma curiosi.
Camminava per il parco il buio avvolgeva tutto come una coperta, lei camminava quando udiva dei passi alle sue spalle, Inizio’ a correre, a fuggire mentre il respiro le bruciava in gola, correva disperatamente, quando si sentì strattonare e gettare a terra, gridava e si dibatteva. Poi qualcosa faceva volare il suo aggressore lontano. Gli occhi videro le piccole gocce di sudore che traspiravano sotto al naso della donna e alle piccole perle che si formavano sulla fronte aggrottata, videro il corpo agitarsi e tremare in una lotta, videro le labbra dischiudersi in un grido silenzioso. Qualcosa le toccava le mente: freddo, antico, diabolico.
La paura e’ finita ora e’ al sicuro, ora non le succedera’ piu’ niente di male. e’ come una nave che entra in porto sfuggendo la tempesta.
Labbra pallide su labbra rosate, un bacio leggero come il tocco d’ala di una farfalla, la mano le sfiora la spalla nuda.
Luca la sta baciando e dolcemente l’accarezza, le braccia si stringono attorno al suo corpo ed il bacio si trasforma e si approfondisce.
Il suo corpo aderiva a quello di lui le sue labbra le stuzzicavano l’orecchio per poi rimpossesersi delle sue labbra. Sentiva le mani accarezzarle il corpo caldo che si tendeva. Le sue mani lo accarezzano da sopra il cappotto.
Il cappotto? Qualcosa non funziona, Clarissa tentò di svegliarsi, ma il tranquillante non glielo permetteva. Con un’ultima carezza l’uomo lascia la stanza, l’appartamento, la casa e, si riperde fra le ombre e le luci al neon della notte.
Il cellulare la sveglio’ con il suo insistente trillo, mentre si allungava per rispondere, Clarissa lancio’ uno sguardo alla sveglia era quasi mezzogiorno.
“Si, pronto”
“Dove sei finita? E’ da due giorni che ti cerco, prima ci mandi in buca la cena e non rispondi alla mia telefonata. Ieri ti cerco in ufficio e prima sei in riunione poi mi dicono che sei andata a casa, ti ho già’ chiamata due volte questa mattina. Si può’ sapere cos’hai?”
“Carla, hai già’ telefonato?… Non ho sentito proprio il telefono . Scusami per tutto, hai ragione, ma ti assicuro che ho la giustificazione” disse cercando di ridere.
“Dove sei?”
“Dove vuoi che sia? Qui sotto. Nello schifido bar che c’e’ di fronte a casa tua. Dovrebbero chiuderlo: per avvicinarsi al banco bisogna fare la fila con gli scarafaggi.”
“Sali, scema!”
Andò’ ad aprire la porta e poi andò’ in bagno ad infilarsi la tuta da casa, si getto’ dell’acqua fredda in viso e si lavo’ i denti. Senti’ Carla entrare e gridarle che preparava il caffè’.
“Arrivo subito” rispose Clarissa legandosi i capelli con un nastro.
“Questa macchina del caffè’ è un mito” La saluto’ Carla alle prese con le tazzine e le capsule di caffè’ da inserire nella macchina.
“Il caffè’ è ottimo e non si sporca niente”.
“Senti mi dispiace per l’altra sera. Ho avuto una giornata veramente di merda in ufficio e non avevo nessuna voglia di uscire né di sentire nessuno. Sapevo che se ti avessi chiamato saresti riuscita a convincermi ad uscire lo stesso e sarei stata una compagnia orribile”
Allungo’ quindi una mano a prendere la tazzina che l’amica le porgeva.
“Mhm, … Ok…, ma perché’ non mi hai chiamato ieri. Ehi cos’hai sul collo?”
“Niente… Che cosa devo avere?” Disse toccandosi il collo e sentendo un dolore rapido e sottile in un punto, andò’ in bagno tallonata da Carla e si guardo’ nello specchio.
“Ieri non avevo nulla… Non è stato il coltello”
“Che stai dicendo? Mi sono persa una puntata?”
“No scusa, ma… Oh! Non so neanche io mi sembra di impazzire. L’altro ieri sera sono uscita verso le quattro perché’ avevo finito le sigarette, le ho trovate dal tabaccaio vicino al parco. Non so poi cosa mi ha preso mi sono seduta a fumare su una panchina nel parco...
“Al parco?? Alle quattro del mattino?…Hai sbarellato, bella mia! L’ho sempre detto che quando lavori troppo non senti più’ la realtà’”
“Forse hai ragione. Un barbone ha cercato di aggredirmi”
“Oddio… Stai bene pero’? Sei scappata?
“Si… Si… io sono scappata, sono salita in macchina e sono corsa a casa” E non l’ho visto volare contro un albero non l’ho visto giacere come un burattino fracassato, non l’ho sentito quel rumore…. No!
“Ehi … E’ finita cerca di calmarti” Disse l’amica abbracciandola fino a che i tremiti non cessarono “Capisco che sia stata una bruttissima esperienza, ma per fortuna non è andata tanto male... Con quello che si legge sui giornali. Fortuna che corri in fretta! Un barbone hai detto, Ah non ti sarà’ riuscito nemmeno a stare dietro per due metri”
“Uhm… Quindi capisci non ho più’ dormito ieri in ufficio ero uno zombie e perciò’ non ti ho ….
“Hai ragione avevi la giustificazione. Cavoli se l’avevi” La interruppe Carla con un cenno della mano. Intanto si erano trasferite sul letto di Clarissa a finire il caffè’ e i biscotti.
“hai già’ mangiato?
“Lo sto facendo ora
“Ma dai aspetta che preparo qualcosa
“No grazie Altrimenti se ingrasso ancora non entro più’ in nessun vestito, anzi basta anche con i biscotti.
“Sei più’ magra di un’acciuga” Rise Clarissa tirandole un cuscino.
“Si un’acciuga obesa ed incinta” Rilancio’ il cuscino.
“Senti dopo andiamo a fare due passi e vedere le vetrine
“Forse, ora non mi sento di fare niente
“Allora parliamo un po’. Non mi hai nemmeno chiesto com’erano i due dell’altra sera.
“guarda che sola sto benissimo
“Si, infatti, vai al parco a farti aggredire! Scusa” disse poi contrita vedendo l’espressione di Clarissa “Clary non volevo scusa…
“Ma no forse hai ragione"
“Senti da quanto è finita con Luca un anno? No? Quattordici mesi (tieni sempre i conti mi raccomando) e tu sei sempre qui come un’eremita, lavori come una disgraziata e poi ti pianti la sera davanti alla televisione a vedere film
“Amavo Luca!” Perfino il tono di voce non riusciva a dare alle parole una parvenza di credibilita’.
“Ohhh…!!!
“Era come fossimo sposati. Stavamo insieme da dieci anni
“E lui si scopava un’altra da due e poi tu non lo amavi più’ da un pezzo
“Beh forse tu non te ne accorgevi o non capivi
“Senti tu lo amavi tanto che se fosse finito sotto un TIR davanti a te avresti detto “che peccato!””
Clarissa si alzo’ e raggiunta la finestra guardo’ fuori, la casa di fronte, il marciapiede, l’angolo della strada… Un brivido, le corse lungo la schiena, perché quel punto del marciapiede sotto al lampione le dava quella sensazione come un tuffo del cuore nel petto.
Penso’ al suo sogno a Luca che la stringeva la baciava, un bacio lungo delizioso pieno di promesse che pareva concentrare in se tutto il desiderio e l’amore. Un bacio come lui non ne aveva mai dati! Forse era questo che le era mancato quel coinvolgimento quel brivido quelle emozioni violente e dolcissime.
“Clary?” La chiamo’Carla appoggiandole una mano sulla spalla “Ascolta è finita ma devi ricominciare a vivere. Senti questa sera andiamo al ristorante messicano e poi in discoteca. Non dirmi di no
“Ok” Capitolo’ Clarissa, quando Carla partiva per la crociata del doverle trovare un compagno per la vita era meglio lasciarle briglie sciolte.
“Senti, devo fare ancora delle commissioni se dopo hai voglia di uscire per vetrine chiamami o a casa o sul cellulare, ora scappo o non riesco a fare tutto.
“Ok. Prenoti tu per stasera? “Certo Non mi fido della tua voglia di uscire Ridendo Clarissa la accompagno’ alla porta e la saluto mentre scendeva le scale.
“A dopo, Ciao!
“Ciao!
Osservava la piccola ferita sul collo, toccandola si avvertiva come una piccola scossa elettrica. Non le faceva male, però le dava una strana sensazione. Cerco’ di coprirla con il fondotinta ma la infastidiva, decise quindi che avrebbe messo una collana stringi collo. Frugo’ nel cestino della bigiotteria e trovo’ un groviglio di perline nere e fili semi rigidi lo districo’dalle altre collane e l’indosso’, le perline nascondevano la ferita perfettamente, e poi s’intonava all’abito grigio scuro.
“Arrivo” Grido’ al citofono prima di buttarsi sulle spalle il cappotto e precipitarsi giù’.
“E la macchina?
“Finita la benzina e sai che odio e self service, andiamo con la tua”
Clarissa ringrazio’ il cielo che le avesse fatto prendere le chiavi della macchina.
Il ristorante era al solito affollatissimo, presero un aperitivo al bancone che poi si portarono al tavolo cenarono con una sontuosa fajita accompagnata prima dai due margarita poi seguiti da due birre messicane ghiacciate.
“La cucina è sempre eccezionale” Bofonchiò’ Carla leccandosi dalle dita un po’ di guacamole.
“Già’ “
Lo sguardo di Clarissa fu attirato da un uomo al banco che sorseggiava un margarita, subito Carla segui’ lo sguardo dell’amica.
“Uao! Quello sì che è un’esemplare”
“Carla!
“Dai non se ne vedono molti cosi”
“Effettivamente” Ammise Clarissa nascondendo il sorriso dietro al bicchiere di birra.
“Ti sta guardando”
“Piantala!
“Davvero non ti stacca gli occhi di dosso, e che occhi! “Carla, finiscila “Si alza. Forse viene qua
“Sei matta
“No.. No.. Viene davvero” Trillò Carla in estasi
“Oddio”
Clarissa si girò e lo vide fendere la folla, che premeva verso il bancone, con la sicurezza che nessuno lo avrebbe intralciato. Gli occhi osservavano e finalmente catturano i suoi occhi verdi. Un lungo brivido diaccio le corse lungo la schiena e la piccola ferita al collo diede una breve sensazione elettrica. Le pareva di avere lo stomaco pieno di farfalle impazzite.
Il tempo sembrava sciroppo, procedeva al rallentatore un secondo era un minuto un minuto un’eternità’. Gli occhi non lasciavano i suoi. Occhi blu come la notte più limpida, brillanti come il diamante che gli splendeva al lobo.
“Buona sera
“Ciao” Mormoro’ Carla all’uomo che non l’aveva neppure vista ne degnata di uno sguardo, ma che da quando aveva lasciato il bancone del bar non aveva fatto altro che fissare negli occhi Clary e lei altrettanto, parevano amici. Intimi amici. Amanti a lungo divisi. Percepiva una sorta d’elettricità’ fra i due.
“Buona sera
“Posso?” Chiese spostando la sedia.
“Certo, prego Carla li osservava non parlavano si limitavano a fissarsi negli occhi come se avessero un metodo di comunicazione ignorato da tutti. Noto solo a loro; e solo per il loro uso e consumo.
C’era pero’ qualcosa in quell’uomo che la inquietava, una forza, una sensualità’, un mistero…
“Credo sia il caso di presentarsi io sono Carla lei è Clary. Clarissa
“Clarissa” Il suo nome sulle labbra di lui aveva un suono particolare
“Io sono Gabriel”
“Piacere, ma non è italiano
“Si, ma vivo a Tokyo da una vita, mia madre era italiana mio padre tedesco.
“Ah ora si capisco lo strano accento. Forse è meglio andare; vedo che la coda per i tavoli aumenta, non vorrei che ci picchiassero se non lo lasciamo libero al più’ presto. E’ Stato un vero piacere Gabriel” Disse Carla alzandosi.
Fu imitata dagli altri due e pagato il conto uscirono dalla calca. Gabriel si chino a raccoglierle il guanto che era scivolato dalla tasca di Clarissa e porgendoglielo le sfioro’ la mano con la propria. Clarissa lo fisso’ restando ancora una volta rapita dagli occhi di lui.
“Hai programmi per stasera?” si ritrovo’ a chiedere Clarissa stupefatta persino lei di tanto coraggio, era la prima volta che abbordava uno sconosciuto. “Si Il mondo fu come un castello di carte che una folata di vento distrugge e disperde, i colori non erano più’ brillanti ed il suo cuore pareva aver smesso di battere.
Carla li osservava mentre, dopo essersi offerta di andare a prendere la macchina, guidava per tornare davanti al ristorante.
“Abbiamo un appuntamento questa notte” Le disse baciandole il palmo della mano ancora senza guanto.
“Noi … Noi ora andiamo in discoteca” Riusciì ad ansimare chiudendo gli occhi.
“Non ora, questa notte! Mine liebe
Un colpo di clacson la fece voltare di scatto, vide Carla e le fece cenno, poi si rivolse di nuovo verso Gabriel e vide dinanzi a se solo il ristorante. Era sola!
La serata in discoteca fu un incubo nel quale Clarissa si muoveva come in un girone dantesco, gli amici di Carla erano stucchevoli e con un unico obiettivo per la serata: una scopata.
Clarissa si ritrovo’ più’ volte a fissare il quadrante dell’orologio la maggior parte delle volte senza vederlo, questa notte, aveva detto, ma come era possibile? Non la conosceva. Eppure quel bacio risvegliava in lei dei ricordi.
Finalmente la serata si concluse e la porta del suo appartamento chiuse fuori il mondo lasciandola sola. Sola di pensare di ricordare, di centellinare nella sua mente ogni istante.
Gabriel, dagli occhi color della notte, dal viso bellissimo ed ai capelli neri abbastanza lunghi da intrecciarci le dita. Gabriel con quel sorriso che sembrava un predatore in caccia che avvista una preda indifesa. Gabriel dalle labbra morbide come la seta. Stesa sul letto con gli occhi chiusi Clarissa non sapeva che un sorriso le aleggiava sul viso. Si alzo’ di scatto e corse alla finestra. La casa di fronte…
Il marciapiede … Il lampione….
Gabriel!
Un sorriso ferino e lentamente lui si stacco’ dal lampione attraversando la strada e dirigendosi verso il portone senza che gli occhi abbandonassero i suoi. Quando fu sparito alla vista Clarissa chiuse gli occhi e senti’ un brivido profondo dentro di sé, le pareva che la pelle bruciasse.
Improvvisamente una mano fresca le sfioro’ la spalla, prendendosi gioco della spallina della camicia da notte di sesa. Si volse di scatto.
Era li’.
Era davanti a lei. Lei era fra le sue braccia.
Le sue labbra sulle proprie sulla guancia sul collo, la ferita inizioò a pulsare spedendole lampi di piacere in tutto il corpo. Le sue mani sul suo corpo… Un lampo! Un dolore lancinante che dura un’instante. Sprofondare nel buio, come in una mare nero in una notte senza luna e stelle.
“Gabriel!” Annaspò alla ricerca d’aria.
“Sono qui. Sei con me… Per sempre!” Lentamente come una lenta risalita verso l’aria, Clarissa senti’ la sua voce che la guidava e la confortava.
“Bevi!” Qualcosa le era premuto sulle labbra
“Bevi e resta sempre con me”
Bevve. Ed il mondo esplose in un caleidoscopio di luci.
Sembrava di fissare milioni di prismi che esplodevano in lampi di luce e cristallo. Vampate di caldo l’avvolsero lasciandola ardente, lame di gelo la trapassarono. Come una pianta secca sente l’acqua che la riempie e la nutre cosi’ lei sentiva il suo sangue scorrerle nelle vene travolgendo tutto, distruggendo tutto, creando tutto.
Il suo corpo moriva fra le braccia di lui e rinasceva con il suo sangue. Lentamente apri’ gli occhi che ora splendevano come smeraldi.
Gabriel sorrise rivelando i denti aguzzi.
Un nuovo vampiro era nato nella notte!



di Gabrielle de Lioncourt