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«Avete mai visto un vampiro?» gli
chiese, volgendogli lo sguardo. «Vampiri? Ah ah
ah!» L'uomo sorrise sarcastico, alzandosi dal sedione di legno. «Vampiri?
Credete ai vampiri? Allora dovreste credere alle streghe, ai lupi mannari,
alla Befana!» Incominciò a ridere con gusto. «Scusate ma non riesco ad
immaginarvi nel letto, sotto le coltri, che vi guardate intorno, tremando,
col cuore in gola per paura di vedere da un momento all'altro spuntare un
vampiro da dietro la tenda!» Continuò in quella sonora risata,
sbellicandosi al centro della stanza. La vista gli si era annebbiata per
le lacrime che gli avevano inondato gli occhi. La stanza era fredda. La
donna lo guardava mentre continuava a contorcersi in quella sua insolita
risata. Finalmente si riebbe e si accostò alla donna. «Mi dispiace,
sapete?!, ma trovo davvero curioso che voi mi facciate queste domande!» La
donna lo guardò ancora per un attimo, mentre egli si risistemava la
cravatta di fronte allo specchio; adesso si sollevava sulle punte dei
piedi per poter guardare la propria figura riflessa. «Vi capirei se mi
diceste di temere che dei malintenzionati possano entrare in casa e farvi
del male! Ma i vampiri proprio...!» La donna lo
guardò mentre indossava il soprabito. Egli la osservò perplesso. «Per
favore, non guardatemi così!» protestò la donna. «Mi pento di avervelo
detto! Se avessi potuto prevedere la vostra reazione, non vi avrei detto
un bel nulla!» Aveva parlato con le mani giunte, le dita intrecciate, i
denti che cercavano istintivamente le labbra mentre esse sfuggivano alla
loro presa. L'uomo le si accostò e l'abbracciò
teneramente. «Mia piccola bambina!» disse con tono amorevole, cercando con
le labbra la bocca di lei mentre ella tentava, con poca determinazione, di
schivare quei suoi baci con lenti ma protratti movimenti della testa. «Lo
sapete che non potrei mai prendervi in giro...!» La guardò un attimo in
silenzio. «Io non rido dei vostri timori», proseguì, «perché ognuno ha il
sacrosanto diritto di provare paura - ma rido all'idea che possa esistere
un essere dalla forma antropomorfa che, avvolto in un mantello nero, entri
di notte nelle case delle giovani donne per succhiare il loro sangue!»
Tentò nuovamente di incontrare le labbra della donna ma senza successo.
«Promettetemi che non penserete mai più che io possa prendervi in
giro....! Del resto, un vampiro non verrebbe mai a cercare il vostro
collo! Se non ricordo male, desiderano solamente sangue di “verginelle”,
non è così?» esclamò con un ghigno viscido ed allusivo. La donna lo guardò
negli occhi e pensò che dopotutto era stato quell'uomo il vero vampiro che
le aveva succhiato gli anni migliori della sua vita, la sua virtù, la sua
dignità. Adesso lo odiava intensamente. Si divincolò dalla stretta delle
sue braccia e si allontanò da lui. Lo guardò da lontano, assorta nei suoi
pensieri. Egli diede un'occhiata all'orologio, la salutò ed andò via.
La donna restò sola nella stanza fredda e
silenziosa. La sua figura snella si stagliava sulla parete debolmente
rischiarata da un lume su un mobile, mentre i suoi piedi annaspavano
nell'ombra. Le parve di sentire un rumore. Trattenne il respiro per un
attimo, ma non udì più nulla. Si avviò verso la sua stanza da letto.
Alternando i passi, cercava di scorgere nascostamente quello che le stava
intorno e quello che poteva celarsi alle sue spalle. Prestava particolare
attenzione a ciò che appariva nella parte estrema del suo campo visivo. Si
voltava improvvisamente, quasi a voler sorprendere un'entità misteriosa ed
orribile che aleggiasse nella sua casa, nei corridoi che attraversava,
dietro la sua persona. Avvertiva una forte inquietudine, un orrore, per
qualcosa di indefinibile eppure reale. Giunse nella
camera da letto. Non poté trattenersi al centro della stanza, ma dovette
accostarsi alla parete. Poggiò le spalle al muro e si svestì così,
rivolgendo il suo sguardo terrorizzato tutt'intorno alla sua persona.
Indossò la camicia da notte e si infilò nel letto. Restò immobile,
attivando al massimo grado i propri sensi, pronti ad assistere da un
momento all'altro a qualcosa di terribile. La stanza era illuminata
pallidamente dalle fiamme tremolanti delle candele. Delle lunghe ombre
venivano proiettare sulle pareti e quegli spettri scuri danzavano, si
avvinghiavano, si allontanavano e tornavano ed incontrarsi in un'orribile
danza sabbatica. Nella stanza non vi era apparentemente niente di
inconsueto, eppure quella sera ella avvertiva una presenza, non sapeva
perché, non sapeva cosa, eppure la sentiva lì, aleggiare nella sua camera.
I suoi occhi sbarrati perlustravano inquieti ogni angolo della stanza
mentre il terrore quasi la soffocava. Il sangue pulsava con impeto nelle
sue vene ed ella si rese conto che in quel momento, se fosse successo
qualcosa, qualsiasi cosa, il suo cuore non avrebbe retto. Temeva che un
trasalimento avrebbe potuto troncare il suo respiro. Eppure era lì, lo
sentiva, qualcosa era lì ed ella lo sapeva. La
raccapricciante ossessione perdurò per lunghi quarti d'ora, fino a quando
la mente cedette al mondo fantastico che la sua immaginazione stava
evocando, ed ella si abbandonò ai suoi incubi.
La mattina seguente la testa le doleva eppure quel sonno l'aveva
rinfrancata. Nonostante le paure e le inquietanti sensazioni della sera
precedente, nel sonno gli incubi si erano tramutati in sensazioni
dolcissime ed all'angoscia era subentrato uno stato di sublime appagamento
dei sensi. Si accostò allo specchio sistemato sul
comò a ridosso della parete. Il volto era disfatto e sulla sua bocca non
riusciva ad intravedere alcuna espressione di letizia. Eppure dal suo viso
promanava un senso di quiete, di ritrovata serenità.
Si diresse verso la biblioteca. Nell'incedere notò
che il suo passo era divenuto più fermo, la casa era divenuta meno
misteriosa e gli stessi ambienti che attraversava le erano più familiari.
Lesse per lunghe ore un libro aperto sul leggìo
senza più avvertire la stanchezza di una prolungata concentrazione sulle
righe che i suoi occhi scorrevano, né quella derivante dalla sua posizione
eretta ed immobile. All'ora di pranzo non avvertì alcun bisogno di cibo e
restò in piedi, a leggere, fino a quando l'oscurità della notte non si
riversò nella biblioteca.
Sentì un forte
scampanellare. Andò ad aprire e trovò dietro la porta l'uomo della sera
precedente. «Buona sera, mia piccola bambina!» esclamò questi, dandole un
bacio sulla bocca. «Siete molto pallida e fredda! Siete sicura di sentirvi
bene?» Ella non rispose. Lo precedette nel corridoio e lo condusse, come
al solito, nella sua stanza da letto. Adesso lo osservava con uno sguardo
impenetrabile. «Avete avuto paura, stanotte?» esclamò l'uomo incominciando
a ridere. «Avete visto un vampiro, per caso? Perciò siete così pallida!»
L'uomo fu nuovamente in preda a quella sua risata irrefrenabile. Si
sedette sul letto mentre continuava a ridere forsennatamente. «Il
vampiro... lo avete visto, il vampiro?» chiedeva nella fase parossistica
di quel suo stato emotivo. Ella lo guardò, imperturbabile, poi socchiuse
le palpebre. La risata convulsa dell'uomo cessò. Un attimo dopo la donna
riaprì gli occhi e vide l'uomo, riverso sul letto, con la gola squarciata
da un morso ferino. Gli si accostò e si inginocchiò accanto alla sua testa
che penzolava dal letto. Con le mani a coppa, raccolse il sangue che
sgorgava a fiotti dalla lacerazione e ne bevve. Poi allontanò le labbra
dalle mani giunte e sussurrò: «No, non l'ho visto il vampiro, mio caro!»
di Vlad II / Plaisir
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