Non riusciva a capacitarsi di come avesse potuto accettare di partecipare ad un gioco così abominevole.
Era terrorizzato.
Infreddolito.
Sperduto.
La torcia che Jason gli aveva dato all’entrata del cimitero già emetteva i primi sintomi di cedimento. La luce bianca era divenuta tremula e fioca, il cerchio lattescente incontrava solo ciottoli e buche sul selciato sotto i suoi piedi, incrociava i volti pallidi delle piccole foto di ceramica impresse sulle lapidi, e non riusciva ad evitargli di inciampare in rami e sterpaglie.
“Ma che ci faccio qui?” si ripeteva incessantemente da almeno mezz’ora.
“Ma perché ho accettato questa stupida prova d’iniziazione, nemmeno m’interessa il loro stupido circolo goliardico, Cristo! Fra due settimane ho l’esame d’anatomia, se muoio stanotte useranno il mio cadavere per la prova pratica di sezione”.
“Già parli da solo Bob?”.
La voce di Jason lo fece trasalire, non gridò per terrore, non per coraggio.
“Jason!”.
“Non mi buttare le braccia al collo, amico, non sei decisamente il mio tipo” rispose il ragazzo ridendo. Prese Bob sotto braccio e lo tirò di forza dentro una cripta dal cancello spalancato.
La sala all’interno era rischiarata dalla luce di qualche candela poggiata sul pavimento di pietra; i confratelli del PKK lo fissavano seri, addossati alle mura coperte di lapidi con le mani affondate nelle tasche dei jeans; qualcuno teneva una sigaretta pendula fra le labbra a mò di novello James Dean, altri si limitavano a guardare con sprezzante ironia il volto di Bob.
Dall’espressione divertita dei suoi colleghi di corso, doveva avere un’aria realmente terrorizzata.
Tossì in modo impacciato, si divincolò dalla stretta di Jason e si portò al centro della sala.
“Allora?” chiese “tutta qui la tremenda prova iniziatica?”.
I ragazzi si scambiarono occhiate complici e Bob capì che avrebbe fatto meglio a tacere.
“Bene, bene, mio caro Bob” disse Ector, il primo del corso di chirurgia, nonché capo assoluto e carismatico del mitico Pkk.
“La tua prova iniziatica è appena cominciata”.
Risa appena trattenute svolazzarono per l’aria immobile e fremente di odori stagnanti.
“Il tuo compito nella vita, come futuro promettente medico, sarà quello di salvare vite umane, il tuo compito questo notte, come futuro membro del Pkk, sarà quello di affrontare la morte”.
Urla d’approvazione si levarono dall’assemblea.
“Non facciamo scherzi, ragazzi” balbettò Bob “che significa esattamente affrontare la morte?”.
“Semplice: hai letto la simpatica iscrizione sulla volta di questa antica cripta di famiglia?”.
“No”.
Ector lo invitò a seguirlo; una volta all’aperto, indirizzò il raggio della sua potente torcia verso il tetto della cripta:
“Carne data verminibus”.
“E allora?” chiese Bob con un filo di voce.
I due rientrarono nella sala che ora era illuminata solo dal fioco bagliore di un paio di mozziconi di cera.
“Questa è la famosa cappella Sellinger”.
“La cappella sconsacrata?” la voce di Bob era più incredula che spaventata.
“Esattamente. Credo che tu conosca già la storia, ma per dovere di cronaca, reputo sia meglio narrartela: il vecchio Sellinger uccise a colpi di fucile il suo stalliere, sua moglie ed il suo figlioletto storpio, prima di puntarsi alla tempia il fedele revolver e metter fine alle sue peregrinazioni su questa terra. La cosa in sé è già abbastanza inquietante, ma a questo si deve aggiungere il piccolo particolare che il vecchio Sellinger si dice fosse un fedele adepto del Diavolo, per questo la sua adorabile famigliola, e lui stesso, furono sepolti dalla sorella in questa piccola, ma accogliente, cripta sconsacrata”.
Il silenzio nella sala divenne palpabile.
“E questo cosa ha a che fare con la mia iniziazione?”.
“Tu dovrai trascorrere la notte qui dentro. Solo con la tua piccola torcia”.
“C-cosa?”.
“Il ragazzo già se la fa sotto” bofonchiò divertito Jason.
“Voi siete pazzi” imprecò Bob.
“No Bobby bello, siamo solo sadici!”.
Altre risa si levarono all’affermazione di Ector.
“E per quale ragione dovrei sottopormi a questa follia?”.
“Per entrare a far parte della goliardia più esclusiva del campus” disse il ragazzo in fondo alla cripta.
“Per essere invitato alle feste più esclusive” aggiunse un altro.
“Per avere le ragazze più esclusive” ghignò Jason.
“Per dimostrare che non sei un codardo” concluse Ector.
Bob si guardò attorno con circospezione, la stanza non era molto grande, forse quattro metri per quattro, la torcia posta nel centro sarebbe bastata per illuminarla tutta, nella tasca interna della giacca aveva un pacchetto di Lucky Strike
ed in quella esterna il fedele walkman per fargli compagnia; diamine aveva sezionato almeno venti cadaveri da quando si era iscritto l’anno precedente alla facoltà di medicina, si era perfino addormentato nella sala settoria per terminare di preparare quel benedetto esame di anatomia, una notte in quel posto non poteva di certo ucciderlo.
“Accetto” disse baldanzoso.
Grida e fischi d’approvazione accompagnarono la sua decisione.
I ragazzi gli sfilarono alle spalle dandogli pacche ed augurandogli in bocca al lupo, Ector si trattenne sulla porta della cripta e, prima di chiudere il cancello, disse:
“Se non te la dovessi sentire...”.
Bob restò a fissarlo attento.
“Grida...forse il guardiano del cimitero ti sentirà e se sei fortunato non ti sparerà credendoti un ladro”.
Rise allontanandosi.
“Bastardo figlio di puttana” imprecò Bob fra i denti.
Si avvicinò alle sbarre chiuse, accese la torcia e ne puntò il raggio verso l’esterno: nulla, solo buoi e silenzio avvolgevano il viale alberato che conduceva all’ingresso del cimitero.
Si voltò di scatto verso le lapidi e gridò:
“C’è nessuno?”.
Ovviamente nulla si mosse, nessun sussurro gli lambì l’orecchio, né alcuna mano gelida gli si posò sulla spalla.
Si avvicinò alle lapidi cementate nel muro di pietra grigia.
“Lowrence Sellinger, Margareth Mildred Sellinger, Stewart SellingerJr.”.
Lesse i nomi ad alta voce scandendoli bene, come in una sorta di appello e tornò a guadarsi alle spalle con occhi sgranati.
Silenzio.
Bene, pensò, la sua immaginazione, almeno per il momento, era tenuta ben a freno dal suo autocontrollo, niente allucinazioni.
Sorrise.
Pose la torcia accesa al centro della sala, il fascio di luce limpida rischiarò l’ambiente a sufficienza per poter tener d’occhio i quattro angoli della stanza e la cancellata d’ingresso.
Si sedette sul pavimento con le spalle appoggiate alla parete che fiancheggiava le pietre sepolcrali, attese ancora qualche attimo e quando si convinse di essere relativamente al sicuro, sfilò il walkman dalla tasca anteriore della giacca a vento e lasciò che la musica lo avvolgesse azzerando il silenzio che lo circondava.
Socchiuse gli occhi, si accese una sigaretta e dopo aver inalato affondo iniziò a rilassarsi.
(Che sciocchezza) pensò (temere i morti, in fin dei conti come prova iniziatica potevo attendermi qualcosa di peggio, che so... mangiare escrementi, girare nudo per il dormitorio del campus femminile, essere costretto a fare proposte sessuali ad Emily Costing, la sgobbona occhialuta ed obesa del quarto anno) sorrise compiaciuto del suo coraggio, pregustando la festa che la notte dopo avrebbe consacrato il suo ingresso nel PKK.
Un movimento leggero ed indefinibile attirò la sua attenzione.
Si sfilò gli auricolari, prese la torcia e si avvicinò alla parete affianco.
Gli ci vollero alcuni secondi per individuare la sorgente del crepitio: dall’angolo inferiore destro della pietra tombale di Stewart Sellinger Jr., scendeva una polvere fine che rotolava a terra producendo un suono simile allo squittio di un piccolo roditore.
Bob seguì con la punta delle dita il percorso del pulviscolo e trovò il foro dal quale proveniva.
Si osservò perplesso la punta dell’indice, l’annusò e ritrasse il volto con una smorfia di disgusto.
“Oddio” mormorò trattenendo un conato “sembra carne in putrefazione” .
Si girò e lo vide.
Un ragazzo di poco più di tredici anni, il volto regolare, ma solcato da una profonda cicatrice che gli percorreva l’intero labbro superiore fino alla guancia sinistra, le mani uncinate e contorte strette contro il petto e le gambe magre, quasi scheletriche, che sporgevano da una camicia da notte bianca.
Il ragazzo lo fissò, poi si portò un dito uncinato alle labbra pallide facendogli cenno di stare zitto.
Bob era pietrificato, non si rendeva neppure conto di come non fosse ancora svenuto, si sentiva il volto insensibile, le mani fredde e distanti, una sensazione di depersonalizzazione si era impossessata di lui nell’attimo esatto di quella bizzarra visione.
Il piccolo gli si fece più dappresso, Bob indietreggiò, inciampò nei suoi stessi piedi, cadde rumorosamente e pesantemente sul suo muscoloso posteriore, senza mai distogliere gli occhi da quelli del fanciullo.
Il ragazzino si sedette di fronte lui, lo fissò con lo sguardo triste e mesto:
“Ascoltami” disse.
La sua voce era leggera, quasi impalpabile ed efebica, nessuna nota spettrale la incrinava, Bob si sorprese a rispondere:
“Dimmi”.
Il piccolo sorrise mostrando una fila di minuti denti regolari, anche le gengive superiori erano solcate dalla medesima cicatrice, che lì si faceva ancor più irregolare.
Stewart prese le mani del giovane fra le sue, un freddo glaciale investì Bob fin dentro le ossa, vide una luce abbagliante e poi fu il buio totale.     [ avanti » ]

di Vampire