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La avvicinai nel solo modo possibile per non destare in lei alcun
sospetto. Trascorsi diverse notti nel suo letto dietro pagamento di
lauti corrispettivi, e quando oramai il mio disgusto era arrivato
all'apice, non tanto per l'età della donna che, sebbene di vent'anni più
vecchia, era ancora attraente e dall'aspetto ben curato, quanto perchè
ella rappresentava il mio nemico, o meglio, un ostacolo al conseguimento
della Verità, presi la decisione. Dovevo solo trovare il momento giusto.
Di tanto in tanto, la nobile prostituta mi ospitava per cena; aveva
acquisito molta fiducia in me, anche se facevamo l'amore con minor
frequenza di prima, forse perchè ormai mi si concedeva senza alcuna
pretesa economica. Una di quelle sere lei bevve più del solito e fu un
bene perchè la sua mente non le consentì di avvertire alcunchè di
anomalo nel mio comportamento, almeno così avevo pensato. La feci
spogliare completamente convincendola che avremmo fatto di lì a poco
l'amore. Mi denudai e ci infilammo nella vasca da bagno. Le salii sopra
come se mi apprestassi a penetrarla, ma nell'attimo successivo le sue
labbra discesero sotto il pelo dell'acqua e vi rimasero per lunghi
cinque minuti, anche se dopo una trentina di secondi il suo corpo,
trattenuto dalle mie mani, aveva già smesso di battersi esalando
l'anima. Mi rialzai uscendo dalla vasca con la calma determinata del
guerriero che conosce alla perfezione i segreti del suo nemico. Sapevo
che cosa avrei fatto nelle ore successive.
L'acido che mi ero procurato in due taniche da venti litri sarebbe stato
sufficiente a corrodere il contenuto di una capiente fossa biologica.
Scesi nelle cantine dove avevo lasciato un paio di ore prima i
contenitori del liquido corrosivo. Conoscevo bene quel palazzo. Mi ero
documentato durante le lunghe ore trascorse agli uffici catastali. Il
corridoio delle cantine era accessibile attraverso una porta senza
serratura. Avevo riposto le taniche seminascoste in uno dei tanti
meandri bui del disimpegno. Risalii faticosamente le scale del palazzo
ma non incontrai nessuno poichè di quattro appartamenti, uno per piano,
solo i primi due erano abitati, e per di più da ultra novantenni,
probabilmente sordi e dormienti. Gettai il potente acido nella vasca da
bagno che si mescolò all'acqua di morte già in essa contenuta. Non mi
restava che attendere con pazienza ed eventualmente il giorno dopo
aggiungerne altro.
Dopo due giorni trascorsi a frugare senza risultato in ogni angolo e ad
analizzare qualsiasi piccolo dettaglio dell'appartamento, aprii lo
scarico della vasca da bagno e ne svuotai il contenuto ormai ridotto ad
un putrido liquame. Operai una attenta pulizia e arieggiai
abbondantemente le stanze. Quindi mi chiusi la porta alle spalle e
attesi il compiersi degli eventi. Avevo previsto un'attesa di almeno un
paio di mesi, ma il mio piano fu favorito dagli eventi e solo quindici
giorni dopo, il proprietario dell'appartamento, accortosi della
scomparsa della sua inquilina, non si fece molti scrupoli e appose
contro il portone dell'edificio un cartello rosso sul quale campeggiava
la scritta "affittasi".
Nel giro di pochi giorni mi trovavo al quarto piano dell'antico palazzo,
nuovo inquilino di un grande appartamento affrescato, che in un lontano
passato fu di proprietà dei miei avi, a pagare un affitto molto più
salato di quello accordato alla nobile prostituta. Ma non mi importava
l'esoso canone richiesto, ciò che mi interessava era l'esistenza in
quella casa di qualcosa di straordinariamente importante, un segreto che
forse, con un po' di fortuna e di buona volontà sarebbe stato mio: il
diario del mio antenato Giulio Cesare Vacchero contenente misteri dal
valore incommensurabile. Non mi aspettavo che il manoscritto contenesse
verità inconfutabili, formule magiche o riti parapsicologici che
conferissero poteri o immortalità, pensavo però che avrebbe
rappresentato una testimonianza storica così importante che in qualche
modo mi avrebbe arrecato vantaggi non indifferenti, vuoi per le
concessioni editoriali e scientifiche, vuoi per il valore storico dei
documenti e, non per ultimo, per il riscatto della mia discendenza, la
cui dignità era stata infangata con disonore nel 1628.
Ma solo dopo alcuni giorni dal mio insediamento nella casa, proprio in
una di quelle serate dedite alla ricerca affannosa di botole o nicchie
celate dentro gli spessi muri, erano cominciati i lamenti. Fu allora che
le mie ricerche subirono una battuta di arresto. Prima perchè la notte
dormivo molto poco, assalito da quelli che inizialmente avevo pensato
fossero terribili incubi, poi perchè i lamenti erano diventati urla
strazianti che imperversavano anche di giorno, sempre più consistenti e
definite, tanto che temetti che chiunque fosse transitato nella piazza
sottostante avrebbe potuto udirle. Col trascorrere dei giorni, che poi
divennero mesi, mi persuasi che quelle terribili grida provenissero da
una precisa zona della casa.
Durante una notte come tante altre, trascorsa a rigirarmi nel letto, mi
destai col cuore in gola a causa di uno di questi incubi sonori, e mi
decisi a seguire con estrema attenzione la provenienza di tanto strazio
umano. Mi diressi a piedi nudi lungo il corridoio che portava al salone
affrescato, ma proprio mentre rasentavo la porta del bagno, mi giunse
chiara e violenta, come una freccia che mi perforava il cervello, una
voce di donna. Era lì dentro, ne fui certo, ed era lei, mi chiamava per
nome, anzi per cognome, quasi a voler rammentare le mie turpi origini,
affogate nel sangue di un lontano passato. Varcai spinto da una mano
invisibile la porta della stanza da bagno; andavo a tentoni, ma mi mancò
il coraggio di accendere la luce. Percepivo il suo respiro; era lì
davanti a me, lo sapevo, ma taceva, aspettando forse una mia reazione,
una preghiera, o una supplica a lasciarmi in pace, o a ritornare in
vita, risorgendo dal medesimo posto ove l'avevo uccisa, dallo stesso
scarico attraverso il quale erano colate le sue cellule decomposte. Ne
percepii il fiato caldo, l'afflato di qualcosa che mi avvolgeva con la
sua presenza e che lentamente si faceva più aggressivo, divenendo ora un
effluvio fastidioso ora un olezzo insopportabile di morte e
disgregazione. Non resistetti a lungo e mi buttai su quello che doveva
essere l'interruttore della luce, ma inutilmente, perchè nonostante i
miei frenetici tentativi, rimasi al buio. Anzi no, ora una luce fioca e
fredda, come il chiarore lunare, mi permetteva di vedere i confini della
stanza, ma non proveniva dalla plafoniera a soffitto; in vero sembrava
generata dal nulla. Tutto mi appariva appannato e confuso ad eccezione
delle grida strazianti che mi costrinsero a portare i palmi delle mani
alle orecchie nel disperato tentativo di estinguerle. Adesso ero certo
della loro provenienza. Sebbene fossi spaventato mi diressi, ancora una
volta spinto da una forza invisibile, verso la vasca da bagno; le grida
provenivano proprio da lì, dallo scarico della vasca e più mi avvicinavo
più mi travolgevano con impeto irrefrenabile e con un eco cavernoso e
lontano come se quei suoni provenissero da luoghi irraggiungibili, ma
nel contempo troppo pericolosamente vicini per non essere materialmente
palpabili.
E fu in quell'istante che comparve ai miei occhi, splendida nella sua
nudità, seduta all'interno di quella che fu, pochi mesi prima, la sua
culla di orrore e di morte. Mi parve più giovane e bella, priva degli
impietosi segni dell'età che una volta insidiavano, sebbene con scarsi
risultati, il suo indecifrabile fascino. Mi colpì il suo sguardo, lo
stesso che aveva poco prima di morire; erano gli occhi di una donna che
conosceva tutto, sul suo destino e sul mio. Abbassai la vista sui seni
gonfi che si divaricavano lasciando intravedere al di sotto della loro
esuberanza, il vero oggetto del mio desiderio. Teneva in grembo qualcosa
che non avevo notato in un primo momento, quasi si fosse materializzato,
come lei, dal nulla, ma un istante dopo; era un vecchio testo,
manoscritto, dalle pagine di un ocra pallido; lo teneva sul suo ventre
lucido e lo sfogliava lentamente con le dita lunghe e affusolate. Non
potevo sapere con precisione come fosse, ma immaginavo che si trattasse
di un documento molto antico, fittamente scritto e ingiallito dal tempo.
Allora capii. Era davanti ai miei occhi, la traccia degli studi
misteriosi del mio avo, lo scrigno delle più arcane scoperte
sull'eternità umana, raccolte nei primi vent'anni del diciassettesimo
secolo e celate al mondo intero perchè non ancora pronto ad assimilarne
i concetti. Lo aveva lei e forse lo aveva sempre posseduto. Rabbrividii
al pensiero che in quella donna potesse celarsi l'anima incarnata del
suo antenato, il marchese De Reges, trasmigrata grazie alle rivelazioni
contenute nel prezioso manoscritto. E mi travolse il dubbio che fin dal
principio fosse a conoscenza del mio orribile piano e che ora
pregustasse la giusta contropartita che la storia riservava ai perdenti.
Fu dopo il primo smarrimento che prevalse però la tentazione di
afferrare il manoscritto dalle sue mani e scappare, ma mi bloccai,
quando mi resi conto che le terribili grida di dolore che fino a quel
momento avevano pervaso la stanza, si stavano attenuando, giungendo alle
mie orecchie sempre più confuse e lontane, come assorbite da una cortina
liquida. Lo stupore per quell'evento fu ben presto sostituito dal
terrore, quando mi accorsi che dallo scarico rigurgitavano fiotti
abbondanti di putrido liquame, un brodo di sostanze organiche decomposte
che a poco a poco si riversavano all'interno della vasca, colmandola, e
il cui acre fetore sferzava le mie narici per arrivare come uno
stiletto, direttamente al cervello. Trascorsero alcuni spiccioli di
eternità durante i quali il mio pensiero rimase bloccato sull'immagine
statica di un vecchio fascio di fogli sgualciti che si stava a poco a
poco disgregando nel liquido corrosivo; e quando le mie mani, muovendosi
oramai indipendenti dal resto di me stesso, lo afferrarono, cercando di
estirparlo dalla presa della donna, ne percepirono l'inconsistenza ed
una forza invisibile la cui sensazione era simile ad una mano dalle dita
lunghe e affusolate, mi attirò verso di sè e poi dentro di sè. Ancor
prima che i miei occhi si annebbiassero completamente, i miei sensi
avvertirono qualcosa che mi avvolgeva come un sudario di lance
acuminate, come un fuoco fluido che divorava velocemente le mie spoglie
mortali. Mentre il mio pensiero usciva dal corpo, potei vedere con gli
occhi della mente ciò che di me rimaneva e si andava via via disfacendo
come poltiglia informe all'interno della vasca da bagno, raggiungendone
con inesorabile lentezza l'imbocco di scarico.
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