Il cancello automatico del Residence si stava richiudendo, P. stava percorrendo in macchina il vialetto cintato da siepi che conduceva al parcheggio condominiale, era vuoto, infatti, le altre quattro famiglie che vi risiedevano erano partite per le vacanze.
Era la vigilia di ferragosto e la città deserta non dispiaceva a P., doveva finire il suo racconto e quei giorni di tranquillità erano quello di cui aveva bisogno, nessun rumore molesto, prese le borse della spesa dal cofano della macchina, la richiuse e si avviò verso il portone stringendo le chiavi in una mano, sarebbe rimasto chiuso in casa almeno due giorni, si disse.
Arrivato in casa, accese il condizionatore e cominci a spogliarsi, a mettersi comodo, come diceva lui, indossò una leggera maglietta di cotone ed un paio di pantaloncini di tela, infilò le ciabatte e si avviò verso il bagno.
Fece una doccia, e stuzzicò qualcosa prima di mettersi davanti al computer. P. era uno scrittore, aveva iniziato come autore impegnato, ma i rifiuti alla pubblicazione da parte degli editori, l'avevano presto dirottato verso una letteratura poco impegnata, di cassetta, adesso scriveva solamente quello che voleva il suo editore, romanzi pulp, storie horror, thriller che erano pubblicati soprattutto sul Web.
Si sentiva un fallito, nello stesso tempo così poteva mantenersi un tenore di vita decente, si versò un cocktail, certamente troppo alcolico.
Il p.c. aveva terminato le procedure d'avvio, digitò l'URL della pagina del suo editore dove si trovava il deposito della piccola casa editrice, infatti, non solo il suo editore doveva decidere quello che scriveva, ma anche com'era scritto, il sistema della sottoversione, più scrittori per uno stesso racconto, e soltanto una sarebbe stata pubblicata, per questa volta, in ogni caso, non avrebbe avuto concorrenza, infatti, gli altri due collaboratori erano in vacanza ed il racconto sarebbe uscito sul web, soltanto tra due giorni, aveva tutto il tempo necessario.
Digitò username e password ed ebbe l'accesso al deposito, doveva scaricare l'ultima versione e poi mettersi al lavoro, aveva già in mente il finale, il protagonista salvava la ragazza catturata dalla setta prima che le fosse torto un solo cappello ed un incendio faceva strage degli adepti, un finale banale, ma non era proprio il suo genere quello. Prima cosa doveva bloccare il file, mentre lo modificava, così, nessuno avrebbe potuto metterci le mani, a scanso d'equivoci.
"Attempt to Lock File but it's Locked already. "Failed".
Recitava una finestra apparsa al centro dello schermo, spalancò gli occhi, il file era in uso ciò qualcuno lo stava modificando, in questo preciso istante, ma chi? A meno che, pensò, uno dei due, non abbia lasciato il file bloccato, l'ultima volta che vi stava lavorando.
Un bel guaio pensò, prese il telefonino ma nè l'editore, nè gli altri collaboratori potevano essere raggiunti, si accese nervosamente una sigaretta, provò ancora diverse volte, ma niente, a quel punto prese il telecomando e si mise davanti al televisore, "al diavolo, pensò, riproverò più tardi.".
Era quasi mezzanotte quando riprovò, niente da fare, eppure il server era stato programmato, il file sarebbe stato pubblicato automaticamente tra due giorni e lui non aveva ancora potuto scrivere una sola parola, davvero quello era un grosso guaio, si decise a leggere il racconto, che sapeva di non poter modificare, inviò prima un e-mail al webmaster, dove lo informava dell'accaduto e nello stesso tempo lo pregava di fare qualcosa, e poi imprecando, iniziò a leggere la nuova versione, che qualcuno, stava scrivendo al posto suo.

L'autista del pulman, si fermò, quasi al centro di una minuscola piazza, l'unica del piccolo paese, John e Lucille, sposi da appena una settimana, che erano gli unici passeggeri, si affrettarono a scendere, notando un gesto di nervosismo dell'autista, che scambiarono ambedue per stanchezza. C'era, sull'altro lato della piazza, una macchina nera che li attendeva, ma di un modello vecchio di almeno quaranta anni, i due sposini si guardarono, scambiandosi un sorriso, era proprio il tipo di vacanza che avevano immaginato, un piccolo paese sperduto tra boschi e colline, dove il tempo sembrava essersi fermato. John era entusiasta di Lucille, l'aveva conosciuta soltanto due mesi prima, ma si era follemente innamorato di lei e l'aveva voluta sposare, nonostante i suoi genitori non approvassero la sua eccessiva precipitazione, "Non sei più un bambino, Joe e lei è molto più giovane di te" aveva detto sua madre, lui, per, non aveva voluto sentire ragioni, ed egualmente entusiasta si era mostrato per la sua idea di fargli conoscere, durante il viaggio di nozze, il paese dove lei era nata.
Il pulmann, si allontanava, con il rumore che tossiva fragorosamente, alzando una grossa nuvola di polvere, mentre stava per calare la sera, a John, sembrò quasi che stesse fuggendo, c'era qualcosa di sottilmente inquietante nell'aria del paese, ma lui non riusciva a capire da cosa dipendeva.
Tutte le finestre sulla piazza erano chiuse, le porte sprangate, non si vedeva in giro anima viva l'unico essere umano era il buffo autista che li stava aspettando, buffo perchè vestito notevolmente fuori moda anche se il suo abbigliamento si sposava perfettamente con la macchina d'epoca che guidava, una sola strada usciva dal paese, e s'infilava in una gola tra due colline ricoperte di verdi boschi, sottili strisce di nebbia, che si andava sempre più infittendo, sostavano in mezzo la strada, l'aria era immobile.
Durante il tragitto, la nebbia usciva a sbuffi dal bosco, si avventava contro il parabrezza della macchina, si alzava in turbini, pennacchi, piano a piano la fitta vegetazione cominciava a diradarsi, gli alberi c'erano ancora, ma erano spogli di foglie, scheletriti, la nebbia qui era un tranquillo mare che nascondeva ogni cosa, a tratti era meno fitta, come se avesse delle sacche vuote, allora John poteva vedere il paesaggio spettrale intorno a loro, grigio, la strada correva lungo il limitare di una gigantesca palude, tutto insieme poi la nebbia si richiudeva intorno alla macchina.
Non riuscì a capire cosa avesse visto l'autista, quando improvvisamente piegò a destra in direzione di quelli che apparivano due piccoli globi di luce, dal rumore capì che la macchina stava passando su un ponte di tavole, erano arrivati a destinazione, i fanali squarciavano a malapena la spessa coltre di nebbia, che per un attimo si aprì, sopra le loro teste mostrando una clorotica luna piena che sembrava gonfia di presagi.
John, cominciava ad essere nervoso, soprattutto quando si accorse che Lucille aveva scambiato due parole con l'autista in una lingua nella quale non l'aveva mai sentita esprimersi e che avrebbe giurato sembrava pi un codice da iniziati che la lingua parlata da quelle popolazioni.
"Cara, ma veramente hai prenotato quest'albergo tramite Internet?", si azzardò a chiedere.
"Certo caro, la casa dove sono nata non molto lontana da qui, in ogni modo mi sembra che finalmente siamo arrivati e che possiamo anche rilassarci un po'.". Rispose lei.
"D'accordo cara, non volevo farti innervosire.".
"E' che sono stanca", riprese lei appoggiando il viso sulla sua spalla, in atteggiamento tenero, si scambiarono delle effusioni, "andiamo caro, andiamo a vedere la nostra stanza.". Fece lei, prendendolo per mano, lui docilmente la seguì e preceduti dall'autista che portava i bagagli, salirono una grande scalinata e finalmente entrarono.
Il castelletto, era molto antico, di pianta quadrata, completamente circondato dall'acqua stagnante della palude, soltanto un ponte levatoio lo univa alla terraferma..

"Non era male", pensò, adesso per era stanco, per di più anche un po' brillo "'Fanculo tutti!", disse, spense il computer e andò a coricarsi. "Domani mattina mi sentiranno."
Fu il suo ultimo pensiero, prima di addormentarsi. Non dormì affatto bene, era agitato, si svegliò due volte con l'arsura in gola e dovette alzarsi e bere dell'acqua, soltanto alle prime luci dell'alba, cadde in un sonno profondo.
Sognò, un sogno cupo e angoscioso, era buio e correva, su un piccolo sentiero che si snodava in mezzo ad una palude, aveva le mani legate dietro la schiena ed un altro uomo correva davanti a lui, o meglio lo trascinava per mezzo di un cappio che era stretto intorno al suo collo, erano inseguiti da una folla vociante, munita di torce, che urlava minacce contro di lui.
Correvano a perdifiato, il baluginare delle torce si avvicinava, squarciava a tratti la nebbia che nascondeva ogni cosa, quando d'improvviso vide un uomo su di una barca, che sembrava proprio stesse aspettando loro, cos era, l'uomo che lo precedeva vi saltò sopra e altrettanto fece lui, mentre l'altro uomo servendosi di una pertica cominciava ad allontanarsi dalla sottile striscia di terra, era sdraiato sul fondo della piccola imbarcazione, respirava a fatica dopo l'estenuante fuga, gli inseguitori erano fermi sulla riva della palude, non gridavano ma ripetevano come un ritornello, una frase ricorrente in una lingua che per lui non aveva proprio senso, scandita e ripetuta centinaia di volte mentre continuavano ad agitare le torce ritmicamente, dal fondo della barca incontrò gli occhi dell'uomo che lo aveva condotto, e gridò "Mandateli via, via presto!".
Si risvegliò di colpo, tutto era tranquillo e silenzioso, si sentiva in sottofondo il lieve frusciare del condizionatore, svogliatamente si alzò dal letto.

John era gi sceso per la cena, e stava aspettando Lucille nell'ampio salone dove era stata preparata una tavola per due persone, stava seduto presso il camino, guardava il fuoco ardere nella gran cavità. La sua attenzione, adesso, era attratta dalle strane incisioni che correvano lungo il bordo che sembrava narrassero la storia di un gran serpente, inutile dire che le iscrizioni non erano di nessun aiuto, dato che per quanto si sforzasse non riusciva a trovare nessun equivalente, nelle decine d'alfabeti usati dagli esseri umani, l'unica cosa che riusciva a capire era che il gran serpente sembrava provenire dalle profondità dello spazio, una misteriosa costellazione appariva all'inizio del ciclo.
Cominciava a spazientirsi, era quasi mezz'ora che si trovava l, da solo, fuori sentiva le tavole del ponte levatoio risuonare, una strana agitazione regnava nella piccola corte del castello, si avvicinò ad una finestra, erano giunte almeno una decina di macchine, ed altre continuavano ad arrivare, contrariamente a come avrebbe dovuto essere, l'arrivo di tutta quella gente, non gli sembrava un buon segno, per la semplice ragione che anche con uno splendido sole a brillare nel cielo, quali attrattive poteva mai avere quel posto, quantunque guardasse la situazione da tutti i punti di vista, una sola gli pareva la ragione che poteva giustificare gli avvenimenti in corso, l'arrivo suo e di Lucille.
Sentì passi strascicati lungo la grande scala di marmo, ed un bisbigliare sommesso che li accompagnava, in poco tempo la sala fu piena di gente e tutti tenevano gli occhi puntati contro di lui, sentiva la tensione salire, il sangue battere forte nelle sue tempie.
Fu distratto dall'arrivo di Lucille, che indossava una tenuta che non lasciava nulla all'immaginazione, soltanto un lungo mantello nero con la fodera rossa, era trattenuto all'altezza della gola, da una preziosissima fibbia con gemme che portava incisa la costellazione che aveva notato poco prima sul camino, era completamente nuda, soltanto ai piedi indossava un paio di lucenti stivali di pelle nera ed un minuscolo perizoma le nascondeva il sesso, era una bellezza certamente conturbante.
I seni eretti, come se fosse eccitata dall'attenzione che lui le stava dedicando, i lunghi capelli neri sciolti, un violento rossetto rosso sangue sulle labbra, ma ancor più sorpreso fu dal comportamento delle persone convenute, che alla sua apparizione caddero come folgorati in terra, rimanendo lì, con il capo chino e mormorando una specie di cantilena, in quella lingua per lui sconosciuta, di quel sommesso bisbigliare riusciva a comprendere solo una parola, ripetuta all'infinito "Alissa, Alissa", "la stavano adorando.", si disse.

Era ferragosto, lui era ubriaco ed erano passate ventiquattro ore dal suo arrivo e ancora non aveva scritto niente, il suo file era ancora bloccato, tanto domani mattina sarebbe stato pubblicato e lui sicuro, avrebbe perso il lavoro, continuava a telefonare, nessuno aveva risposto alla sua e-mail, era solo e non poteva fare niente per impedire la sua rovina. Girovagò per la rete, scaricò immagini d'allegre donnine fece tutto quello che aveva sempre voluto fare senza trovarne il coraggio, fin a giocare online all'impiccato, divertendosi veramente, i pochi rumori della città vuota andavano spegnendosi, era scesa la notte.

Una profonda e cupa tristezza, scese nel suo animo, voleva provare a dirle "Lucille, forse tu mi devi qualche spiegazione, che cosa significa questa buffonata?", la guardò negli occhi, dove erano finiti i suoi dolci occhi, adesso forse per l'effetto di qualche droga, erano un tranquillo ed inquietante deserto, nel quale non osava avventurarsi, ripensò autenticamente disperandosi, quando in lui si era ormai fatta strada la convinzione di trovarsi a vivere un'avventura senza ritorno, ai consigli di sua madre, dei quali aveva riso.
Fu portato un vassoio con due bicchieri contenenti un liquido scuro e denso, Lucille ne prese uno e si avvicinò, teneva il calice all'altezza del suo seno, sembrava diventata l'essenza stessa della sensualità, dal vassoio stesso prese uno spillone con il quale punse il suo seno, una stilla di sangue di un rosso intenso, cadde nel bicchiere destinato a lui, con una voce roca eppure vellutata, gli disse "Bevi, mio amato il calice dell'oblio.
Questa l'unica notte dell'anno, nella quale splende la stella nera!", e scoppi in una risata che fece correre a John, un gelido brivido, lungo la schiena, non aveva nessuna voglia di bere quella mistura, ma data la situazione, bevve.
Cadde in una specie di sonno ad occhi aperti, il tono della cantilena era mutato, diventando un lugubre salmodiare funebre, stavano scendendo, verso dove? Lui era legato per i polsi e le caviglie ad un bastone, per mezzo del quale era trasportato, ondeggiava ritmicamente al ritmo dell'incomprensibile litania, stavano seguendo un cunicolo che scendeva ripidamente, le pareti erano istoriate di fregi, orrendi cartigli assolutamente indecifrabili ed alieni.
Il passaggio, sbucava in una gran caverna, fu portato vicino una parete di roccia dalla quale pendevano delle catene, alle quali fu assicurato, si sentiva la testa pesante.
Il brusio che aveva accompagnato il suo trasporto, cessò di colpo, all'apparizione di un altro personaggio, anche lui vestito di nero, con un lungo mantello, l'uomo si rivolse a lui, apostrofandolo così.
"Sono il tuo editore John, e ricordi quanti visitatori abbiamo perso e nessuno acquistato a causa dei tuoi pessimi racconti, sei un ubriacone senza talento, in ogni modo non possiamo veder sparire questo sito, come vedi sono molti i suoi lettori affezionati, lo sai John come sono importanti i soldi il giorno d'oggi e come valga la pena di tentare qualsiasi azione, per restare in mezzo al flusso del denaro, il guaio che qui siamo, come puoi vedere parecchio all'antica, abbiamo quindi deciso di compiere un sacrificio, il più feroce dei sacrifici, quello di un essere umano, speriamo così di ingraziarci gli dei della rete, e quell'uomo sei tu, John, sei licenziato!"
Aveva compreso, John, certo che aveva compreso, la folla cominciò a tumultuare, Lucille le si avvicinò, lo prese per i capelli e tirò su la sua testa, avvicinò le sue labbra alle sue ed inizi a baciarlo, cosa passava in quel bacio, dall'odore della tomba si arrivava alla dolcezza dei petali di rosa, angoscia e amore, la vita e la morte, la fine ed il principio.
Fin, fu staccato dalle catene, legarono le sue mani dietro la schiena, un uomo che stringeva una corda che terminava con un nodo scorsoio, pass lo stesso intorno al suo collo, lo strinse un po' e gli chiese" Sai correre forte?", poi senza attendere la sua risposta, partì di corsa tirandosi dietro John.
Era il segnale, tutta la folla cominci ad inseguirli, l'ultima cosa che potè vedere il poveretto era Lucille ed il suo Editore che si abbracciavano, e non gli fece bene..

Sbadigliando rumorosamente, si alzò dal tavolo, era tardi, "il dado tratto", farfugliò sorreggendosi al tavolo, scolò l'ultimo rimasuglio di whisky, lasciò tutto come si trovava ed andò a dormire, cadendo subito in un sonno profondo ed agitato.
Si ritrovò nel sogno del giorno precedente, nell'istante nel quale si era interrotto, guardava negli occhi l'uomo che lo teneva accalappiato, gridava "Fateli smettere, mandateli via!", a quel punto la barca urtò una piccola isola, sulla quale era cresciuto un desolato albero, avvelenato dai miasmi della palude, e ad un certo punto gli fu chiaro dall'espressione che lesse negli occhi dell'altro, che lo avrebbe accontentato, li avrebbe fatti smettere, fece passare un capo della corda intorno ad un ramo, la folla era ammutolita, la nebbia si era alzata scoprendo una gigantesca luna piena, prese l'estremità della fune e tir. Restò a dondolare contro la luna, mentre si raddensavano spirali di nebbia, poi il ramo marcio si ruppe e lui cadde nella palude, che subito si richiuse su di lui.
Il cicalino del messenger, trillava in continuazione, arrivavano decine di e-mail entusiastiche per il suo racconto e la segreteria telefonica intasata, registrava messaggi di congratulazioni, del suo editore, degli altri collaboratori, dei suoi amici e amiche.

di Yoth