[ « indietro ]     Al centro della stanza riconosceva il bambino che l’aveva aiutata, malgrado il suo aspetto deformato dal male. Non seppe come fece, ma lo abbracciò e chiuse gli occhi. Il bambino la morse alla clavicola e gli altri le si precipitarono addosso per morderla dove potevano, ma lei rimaneva immobile e mentre un ultima lacrima le percorreva la guancia, sentì un calore nel petto e una luce viva e solleticante. Sentiva i sensi affievolirsi, ma quella specie di luce si faceva sempre più forte. Non era una luce che si vedeva con gli occhi, ma con la mente; poteva avvertire la sua luminosità anche senza vederla e il suo calore pur non toccandolo. La cosa più strana era che quella luce le sembrava una bimbetta, udiva le sue risate, la sua vivacità infantile e la sua purezza. Infine tutto si offuscò e si sentì cadere come un corpo morto.
-Anghells! Anghells, svegliati! Svegliati, ti prego! –la chiamò una vocetta familiare. Aprì gli occhi e fu come svegliarsi da un lungo sonno. I muscoli le si erano indolenziti o forse era per le numerose ferite. La prima cosa che vide fu il bambino che aveva abbracciato, questa volta però era di nuovo uno spettro semi-trasparente, e intorno c’erano tanti altri bambini di varie età che la esaminavano con lo stesso sguardo angustiato e impensierito. La ragazza cercò di alzarsi e, malgrado il dolore, riuscì ad arrivare fino alla porta d’ingresso. I suoi amici corsero subito da lei, la abbracciarono forte, senza curarsi delle ferite, e infine si accorsero delle numerose entità che si erano accostate alla porta.
Nuovamente con gli occhi sbarrati indietreggiarono di qualche passo.
-Anghells, tornerai ancora da noi? –disse il bambino.
-Certo che tornerò, devo ancora risolvere ciò che avete in sospeso, ma non chiamatemi ANGHELLS. Mi chiamo Serena, va più che bene. –replicò un po’ ansimante.
I suoi amici si rassicurarono, le tornarono vicino e Federico la prese in groppa per portarla dalla fermata dell’ autobus. Si allontanarono da quel posto che il sole già era in procinto di tramontare, eppure tutto era sembrato molto più lento.
Serena lasciava di nuovo viaggiare i suoi occhi giù per le strade e le case.
Ormai aveva preso una nuova decisione e avrebbe dovuto sopportarne le conseguenze. Aveva un impegno con quei bambini e doveva guardarsi intorno con maggiore attenzione per evitare i tranelli del Demonio. Eppure il suo futuro la spaventava, così buio, così fuori strada. Sentiva quella sensazione di diversità che ogni tanto le veniva e un velo di malinconia la avvolse. Ancora una volta, la preoccupazione dei suoi compagni le aveva messo in testa mille interrogativi con mille risposte incerte. L’avrebbero fatto comunque se avessero saputo che lei aveva tentato di ucciderli? Cosa avrebbero detto del suo rapporto col Demonio? Avrebbero compreso la grande disperazione che aveva permesso la creazione di “Daemonicus”? Forse anche loro avrebbero dovuto, presto o tardi, entrare in quell’oscuro disegno, ma lei lo avrebbe fatto ritardare il più possibile. Dover maturare così in fretta non le era piaciuto, ma se l’era cercato quindi non poteva fiatare.
Nessuno parlava; l’allontanamento dalla realtà conosciuta era iniziato anche per i suoi compagni. Avevano visto, anche solo per pochi secondi, il baratro che li aveva circondati e, per quei pochi secondi, avevano amato la loro triste, ma sicura realtà.
Federico cercava ancora di capire cosa centrasse “Anghells” in tutto ciò. Era solo un libro di cui Serena non gli aveva mai parlato fino qualche mese prima e giusto perché non lo voleva più scrivere. Un soggetto che gli era anche piaciuto perché era uno dei pochi libri che mettevano come finale la vittoria del male, ma lei non era mai riuscita a finirlo. Gli aveva detto che ogni volta che era stata vicina alla fine, il file era stato cancellato, in un modo o in un altro. Cercava di fare dei collegamenti, ma mancava ancora qualche filo.
Sara si interrogava su ciò che era successo, ma non capiva se fosse più contenta, perché aveva visto un fantasma, o più impaurita, per tutto ciò che era successo quel giorno.
Denise, invece, sperava in cuor suo di non provare più quella paura. Si riprometteva di non venire più in quel posto e di tenerlo solo come un ricordo tra i tanti nella sua mente.
Erano tutti e quattro cambiati quel giorno, ma non avevano ancora visto niente.

      Continua…


di Serena Pirazzi