Certe persone dovrebbero vivere in gabbia, come le belve allo zoo. Isolate, in modo da non costituire un pericolo per sé e per gli altri, ed allo stesso tempo esposte alla curiosità popolare.
Purtroppo, invece, si aggirano in mezzo alla folla, invisibili nel loro accurato mimetismo che le fa apparire del tutto normali. Ci parli per ore, giorni, anni, e non ti accorgi della loro vera natura. Nemmeno quando è troppo tardi, quando hanno risucchiato da te ogni energia, lasciandoti stremato, incapace di reagire a qualsiasi stimolo. Come so queste cose? Semplice, sono anch’io uno di loro, un Predatore.
Non un vampiro, almeno nell’ accezione più classica del termine. Non mi aggiro la notte avvolto in un lungo mantello nero a cercare vittime per nutrirmi del loro sangue. No, io vado tranquillamente in giro per le vie di Roma a godermi il sole sonnacchioso di mezzogiorno. Uno come tanti, all’apparenza, né bello né brutto, né giovane né vecchio. Non catturo sguardi ammirati al mio passaggio, anzi passo del tutto inosservato. Anonimo, ecco.
Ma appena inizio a parlare con qualcuno, immediatamente tra noi si crea un legame fortissimo. L’interlocutore si sente compreso, apprezzato, amato, in alcuni casi. E in breve non può più fare a meno di me, che io mi presenti sotto le vesti di amico, amante o collega. Lentamente, senza che se accorga, faccio mie tutte le sue emozioni, assimilandole, metabolizzandole in energia vitale. E mentre io divento sempre più forte l’altro si indebolisce fino a languire, trasformandosi in una larva che dipende totalmente da me. A questo punto, non avendo più niente da prendere, abbandono le mie vittime al loro destino. Non so se si riprendano o meno, non sono mai tornato indietro a sincerarmene. Del resto non m’importa nulla, neanche al livello di mera curiosità.
Ovviamente, sono le donne a darmi maggiore soddisfazione. L’amore. Che bella parola! E che passioni turbolente, eccitanti dietro di essa. Il nutrimento per eccellenza!
In questi casi seleziono con cura la mia compagna, cercandone una che abbia sofferto, incattivita dalle delusioni ma bisognosa nel profondo di credere ancora. Che soddisfazione vederla liquefarsi, sedotta dalla mia potenza affabulatoria. Ricordi e sensazioni scorrono da lei verso di me, un fiume dalla corrente invertita, fino a colmarmi. L’estasi mi travolge come un orgasmo, ma molto più intenso. Cuore in fibrillazione, neuroni impazziti, la mia aura che lievita, espandendosi. Magnifico!
La Rete in tal senso offre possibilità infinitamente variate. Mi basta imbucarmi in una delle centinaia di chat dedicate ai cuori solitari e scegliere con acume e criterio scientifico. Spulcio divertito i nick, spio le conversazioni, assaggio la preda con delicatezza ed infine la conquisto.
Il nome Aracne mi ha colpito immediatamente. Vaghe reminescenze di mitologia, reminescenze scolastiche, ed il fascino sottile che esercitano su di me i ragni, perfette macchine predatorie che tessono inganni, proprio come me.
Per un po’ l’ho studiata da lontano. Ottima parlatrice, dotata di spirito lirico. Anima in pena, si definisce. A chiunque glielo domandi sciorina le sue vicende personali: infanzia difficile, solitudine, incomprensione, un matrimonio insoddisfacente. Gli ingredienti ci sono tutti.
In chat tiene banco, da vera attrice consumata. La sua teatralità è così accentuata da essere quasi surreale, eppure c’è qualcosa di profondamente vero dietro i termini arcaicizzanti di cui ammanta i suoi discorsi. Un profluvio di discorsi. Mi ricorda l’Ulysse di Joyce.
Ci siamo intesi subito. Ormai parla solo con me in pvt. Le mie dita percorrono frenetiche la tastiera, accarezzandola come se fosse il corpo di lei. Ogni parola che digito mi avvicina maggiormente al mio obiettivo. Scrivo, scrivo, scrivo, incurante del tempo che passa, dimentico di tutto, anche di mangiare.
Quando il buio mi sorprende, sudato e con la schiena dolorante per la tensione continua, mi rendo conto con stupore che ho passato sei ore filate al computer. Gli occhi mi bruciano, sono stanco e svogliato. Eppure penso unicamente a quando potrò connettermi di nuovo e parlare ancora con lei.
Aracne. Il suo nick lampeggia sullo schermo, giallo come un fanale, ipnotico.
“Quando possiamo incontrarci?” le chiedo.
[sorride] “Presto, amico mio. Molto presto”
Ma il tempo passa ed elude sempre l’incontro, procrastinandolo di giorno in giorno, di mese in mese.
“Quando?” continuo a domandare, esasperato. Ormai passo tutto il giorno davanti al computer, abbandonandolo solo per pisciare, mandare giù qualche boccone e dormire tre quattro ore, il tanto necessario per non impazzire.
“Domani alle tre. Davanti alla Minerva . Metti un fazzoletto rosso nel taschino della giacca” Il suo aspetto un po’ mi delude. Né bella né brutta, di età indefinibile, incolore. La classica casalinga frustrata. Ma appena inizia a parlarmi la sua voce mi elettrizza. Calda, di timbro quasi maschile. Estremamente seducente. Mi trovo a pendere dalle sue labbra mentre, seduti al tavolino del bar, mi racconta la sua vita. Ripete le stesse cose che mi ha detto centinaia di volte, eppure non mi stancherei mai di ascoltarla.
La tappa successiva è casa sua. Il marito non c’è. E’ fuori per lavoro, dice, e non tornerà che tra qualche giorno. Un appartamento anonimo, come lei. Mobili dozzinali, colori smorti, nessuna fantasia.
L’unica nota stonata nell’ambiente sono i ragni. Ne possiede a decine, di dimensioni e colori diversi, chiusi in terrari di vetro. I loro nomi esotici suonano come musica sulle sue labbra.
“Ti piacciono i ragni?” mi domanda, notando il mio interesse.
Sorrido, sornione, in risposta.
Me ne mostra uno : piccolo, nero, con una macchia rossa sul ventre, se ne sta acquattato in fondo ad una tela tesa tra due rametti. La targhetta sulla teca reca il suo nome, latrodectus mactans.
Finiamo a letto, a fare l’amore. Tra le sue gambe perdo completamente il conto del tempo, soggiogato dalla sua voracità. Le ore corrono via mentre defluisco in lei, ancora ed ancora.
Non so più da quanto mi trovo in questo appartamento. Giorni? Settimane? Sono così stanco che non ce la faccio neppure ad alzarmi dal letto. Aracne mi nutre, imboccandomi, e continua a parlarmi con la sua voce suadente. Solo di questo ho bisogno. Della sua voce, delle sue parole…
Oggi ho aspettato invano che venisse da me. Attraverso la porta aperta sento il frenetico ticchettio delle sue dita che volano sulla tastiera. Quasi riesco a leggere ciò che scrive.
[Aracne entra in chat ] “Sono un’anima in pena…”
Aracne
Aracne
Aracne…
Certe persone dovrebbero vivere in gabbia, come le belve allo zoo. O in piccole teche di vetro.

di Vareno