Passato alla storia come lo “strangolatore di donne”, è da considerarsi il più antico serial killer di cui si ha notizia dettagliata e precisa in Italia.
Nato nel 1849 a Bottanuco, nel bergamasco, Vincenzo Verzeni, è alto 1 e 66 per 68 chili di peso: robusto, di chi lavora nei campi, è un ragazzo docile e silenzioso, anche se solitario: sempre gentile, apparentemente innocuo.
Il Verzeni viene da un ambiente familiare disagiato: un padre violento che nei suoi frequenti stati di ebbrezza picchia moglie e figlio; i soldi sono considerati in maniera ossessiva, le spese quasi aborrite.
In questo ambiente Vincenzo non può assolutamente coltivare relazioni interpersonali con ragazze della sua età ed il rispetto, ingiunto, nei confronti di questo padre padrone, lo costringe a rinchiudersi in se stesso.
La rabbia, alimentata dalla sua frustrazione e dai risentimenti, improvvisamente ebbe libero sfogo, creando il panico nelle campagne bergamasche ed eludendo tutte le ricerche della polizia, per un periodo che andò dal 1870 al 1874.
La sua prima vittima fu Giovanna Motta di 14 anni, ella si stava recando a Suiso da alcuni parenti, quando fu aggredita da Vincenzo Verzeni: non giunse mai a destinazione e scomparve quindi per tutti misteriosamente.
Il corpo fu rinvenuto quattro giorni dopo, presentava orrende mutilazioni; a quello di Giovanna seguiranno altri delitti tutti perpetrati con la medesima ferocia.
Vincenzo venne poi catturato grazie a due testimoni e fu posto sotto processo.
Il dottor Cesare Lombroso, venne incaricato della sua perizia psichiatrica. Per l'esperto vi era un vizio parziale di mente.
Il processo fu molto breve la Corte d'Assise di Bergamo, mancando però l'unanimità, Vincenzo, viene condannato ai lavori forzati e non alla fucilazione.
Il dott. Lombroso ci riporta anche una frase di Vincenzo durante il dibattimento processuale: “Io ho veramente uccise quelle donne e tentato di strangolare quelle altre, perché provava in quell’atto un immenso piacere. Le graffiature che si trovarono sulle cosce non erano prodotte colle unghie ma con i denti, perché io, dopo strozzata la morsi e ne succhiai il sangue che era colato, con che godei moltissimo”, questa era la spiegazione del giovane al proprio modus operandi.
Il Dott. Lombroso sostenne che, Vincenzo, proveniva da una famiglia affetta da cretinismo e che il in particolare era “affetto da necrofilomania o pazzia per amori mostruosi o sanguinari”.
Il 13 aprile Vincenzo Verzeni veniva rinchiuso nel manicomio giudiziario di Milano fuori Porta Vittoria il Senavra.
Il 19 luglio si chiude in un mutismo impenetrabile.
Venne sottoposto a numerose sedute di "cura morale", che prevedevano i trattamenti più efferati della psichiatria moderna: ustioni al collo, scariche elettriche, totale isolamento, totale oscurita', docce gelate che gli cadevano sul capo da un'altezza di tre metri, alternate con "bagni a sorpresa" di acqua bollente.
Alle quattro del mattino del 23 luglio gli infermieri trovarono Vincenzo Verzeni penzolante contro il muro, era nudo e con le ciabatte, appeso per il collo a una fune attaccata all'inferriata della finestra. Gi infermieri cercano di soccorrerlo tagliando la fune ma, anche il medico chiamato e sopraggiunto, possono soltanto constatarne l'avvenuto decesso [questo è quello che hanno riportato fino ad oggi le documentazioni ufficiali sulla storia di Verzeni... ]
Il dottor Cesare Lombroso è considerato il padre della criminologia moderna diede il via a quell’analisi scientifica che porterà, successivamente gli americani, a classificare il "serial killer" come un omicida che uccide almeno due persone, che agisce in intervalli di tempo più o meno brevi.
Il serial killer, inoltre, agisce sulla spinta di una gratificazione, di un bisogno psicologico (spesso sessuale), e lancia in modo più o meno consapevole una sfida.