“Avevo venticinque anni quando divenni un vampiro, era il 1791” […]. Come vi comportereste se qualcuno cominciasse così la storia della propria vita? E’ un ragazzo apparentemente normale quello che parla, folta capigliatura nera e abbigliamento impeccabile. Eppure afferma di essere un vampiro, un mostro, un essere leggendario con più di duecento anni. Cosa fareste voi di fronte ad un individuo del genere? La cosa meno sensata sarebbe… intervistarlo!? Eppure questo succede in “Intervista col Vampiro”, film di Neil Jordan del 1994. La trama è presto detta: il vampiro Louis (interpretato da Brad Pitt) decide di raccontare, in un’intervista ad un giornalista (Christian Slater), la propria vita di non-morto, dalle origini in Louisiana, quando fu trasformato dallo spregiudicato Lestat (Tom Cruis), al suo incontro con la piccola Claudia, la bambina-vampira; dal viaggio assieme a lei in Europa, dove incontrerà Armand (Antonio Banderas), potente vampiro di Parigi, sino al suo ritorno a New Orleans, sua città natale.
Film complesso e barocco, “Intervista col Vampiro” seduce attraverso una formula in bilico tra drammatico e noir e, soprattutto, riesce in quello che sembrerebbe essere il suo principale obiettivo: far rivivere il mito del vampiro, tanto abusato in passato da cinema e letteratura, sotto una nuova luce, a tratti più umana, privandolo dei molteplici stereotipi che ne avevano logorato la figura. Insomma, una perla del cinema horror contemporaneo, un prodotto assolutamente originale tratto dal romanzo omonimo “Intervista col Vampiro”, dell’americana Anne Rice, pubblicato nel 1976.
Ora, sappiamo tutti quanto sia difficile trarre da un buon racconto un altrettanto buon film (cito qui, a memoria, lo “Shining” di Stephen King, portato sulla pellicola da Kubric o, più in attinenza con l’argomento, il “Dracula” di Bram Stoker, riedito da Coppola nel 1992) e quanto sia difficile concentrare in una manciata di minuti le molte pagine di un libro. Proprio per questo sono tante, nel passaggio da carta a pellicola, le omissioni che, senza togliere senso all’opera, ne alleggeriscono il peso da avvenimenti non cruciali o per lo più di sfondo. Un’operazione dovuta e accettata, questa, dalla stessa Anne Rice, tra l’altro sceneggiatrice del lungometraggio di Jordan. Meno accettabili però sono apparse alcune scelte, in special modo quelle pertinenti agli attori. A parte Brad Pitt, capace di trasmettere tutta la filosofia e il fascino posseduti dal vampiro Louis nel romanzo, non particolarmente azzeccata è apparsa (o, per lo meno, lo è parsa a me) la scelta di Tom Cruis per il ruolo di Lestat (l’attore era stato voluto dalla stessa scrittrice, causando non pochi problemi alla produzione) che qui appare privo dello spessore, seppur negativo, di cui era stato dotato sulle pagine del romanzo; così come quella di Banderas per l’interpretazione di Armand (il personaggio letterario, in realtà non più grande di un ragazzino di diciassette anni, mal si adatta al fisico e all’età dell’attore). A parte questo, il passaggio da libro a film è risultato un’operazione particolarmente riuscita.
Intervista col Vampiro non è, però, l’unico romanzo della Rice ad essere stato adattato per il grande schermo. Nel 2001 fu la volta di “La Regina dei Dannati” (ultimo film, tra l’altro, interpretato dalla cantante e attrice Aaliyah, morta prematuramente poco dopo la conclusione delle riprese), adattamento cinematografico dei romanzi “Il Vampiro Lestat” e dall’omonimo “La Regina dei Dannati”. Notevoli sono però le differenze tra il primo film tratto dalle Vampire Chronicles (così è stata chiamata la serie di romanzi della Rice narranti le vicende di Lestat e compagni) ed il secondo, diretto con spirito da video-clip e farcito di banali rappresentazioni del male e dialoghi dementi. Differenze stilistiche e di intenti che rendono La regina dei Dannati un prodotto diretto a quelle masse adolescenziali consumatrici di Mtv ed entusiaste, se non vogliose, di miti e stereotipi.     [ Vai a pagina: 2 » ]