Si strusciava nel soffitto sospesa nell’atmosfera perlata, leggendo baudelaire, fumando sul letto, scivolosa nell’aria di non appartenenza al mondo, abbandonata al suo sguardo vago riflesso nello specchio bordato di nero, un oggetto immobile vicino al suo letto opaco di grigiore come il mondo pieno di luce, la sua immagine contornata di luce, baudelaire che vomitava parole confuse, soffici frasi spezzate di mondi seriche lenzuola sotto la schiena che la riportavano alla realtà oppiacea di novembre, novembre un mese ancora da passare intero dolce Angoscia che le stringeva la pelle bianca la gettava nel mondo da cui lei cercava di fuggire, nella notte strappata alle mani delle stelle pugnali di realtà le penetravano gli occhi solo pugnali di inutile realtà.

Creatura notturna che aveva bevuto verità ingurgitandole troppo veloce senza fiato, strusciandosi al soffitto odori di madide scene coperte di ceralacca, ebano nero fra le dita scagliava lembi di cielo su un quaderno geometrica costruzione di carta, Cometa senza respiro persa in viaggi allucinati di non possibilità di fuga, angoscia impossibile da dissolvere nelle azioni, ancora presa a contare le ore prima di una nuova scia di luna pallida, distruggere le creature trafitte dalla concretezza della vita, distruggere il sole, distruggere la luce, succhiare fino a esaurire il sangue, pelle gonfia e senza vita fra le sue labbra persa in sensazioni di morbidezza fra i suoi denti, estrema dolcezza, dolcezza cercava dolcezza le sue mani sul suo corpo nelle lenzuola, attimi di estasi estetica nello specchio l’immagine sfumata di creatura pallida nuda che abbandona la pelle a attimi di piacere autoinflittosi per sentirsi ancora viva, come pugnali scagliati su di lei si perdeva in orgasmi solitari, sola scopava con il suo riflesso amandosi.
Distruggeva il giorno scivolata ormai in propri universi senza forma, sconosciuti al resto, fuori pulsanti esistenze piene di vuoto, distruggeva il giorno a colpi di attimi di vuoto, satura di contatto esterno, scattava foto al suo pallore perlato, scatti plastificati di vecchia polaroid catturavano il suo corpo.

Il diluito luccicare dei suoi occhi si scioglieva nel buio, strade sterilizzate srotolate in tappeti grigi davanti a lei percorse con passo di fata narcotizzata profumavano di vicinanza, persone che camminavano intorno a lei, cappotti morbidi pensieri ovattati, flash di normalità incanalata in stabili esistenze inutili. Leggeva poesie di Beckett mentre aspettava sulla panchina un incontro programmato, pensando alla sua immagine specchiata nella scena fortemente rock che pulsava violenta intorno dentro il locale, vite che si strusciavano musicali mani occhi mischiati sguardi appiccicosi che infastidivano sui vestiti.
Scompariva con le parole verso il pallore lucido del cielo assuefatta ai rumori densa di torpore alcool disciolto nelle vene voglia di baci di vampiro assaporati in fretta cuori rossi fragole da succhiare dilaniandole. Lo specchio formato portatile rifletteva i suoi capelli chiari da bambola e lo sguardo impaurito perso nel trucco, abbandonata alla sua matita nera spessa coltre per non essere penetrata dal mondo esterno, conosciuta sensazione di straniamento, vagamente umana e risucchiata da vortici di sensazioni, chiarori lacerati di possibile amore.
Si avvicinò lentamente, presenza inconsistente quasi assente per gli altri graffiato di parole pronunciate con rabbia in cerca di dolcezza estrema con la sua Cometa avvolta di nero, già abbandonata nel muoversi delle anime senza vita, reclinata in sua attesa, Angoscia che posava lentamente le sue labbra sul suo viso, baciava sensazioni di quieta familiarità senza slancio di nessun tipo.
- Ti aspettavo- la voce quasi immaginata portava violenta la realtà codificata di gesti fra loro, maschere consumate e esperte che la accarezzavano di sguardi riempivano inutili il paesaggio ovattato, un momento di tenerezza estrema avrebbe voluto che la portasse in braccio non dentro al locale di ebbrezza brillante ma sulla spiaggia fra stelle che si lasciano morire nelle onde protette dalla luna voltata di tre quarti quasi in posa per uno scatto di polaroid plastificata.
- Volevo portarti qualcosa oltre a me ma non sono riuscito a pensare- immobilità inquieta la catturava nelle parole succhiate alla notte, voglia e paura di fottere piegava le pareti laccate del locale, con passi stanchi, fata narcotica, fata infreddolita con ali piegate, fata abbandonata a un abbraccio in cerca d’amore. Voleva il suo amore proiettato sulla pelle, violenta scossa che la rubava alla dissoluzione, sentiva il suo corpo scomparire completamente fra colpi di musica e pareti spesse, mille mani che potevano strusciarsi sulle sue gambe e darle piacere, fuligginoso novembre imbevuto d’Angoscia ingoiata in baci appiccicosi esorcizzata in carezze violacee al sapore psichedelico di luci verdi e blu. Voleva Tenerezza, cercava Tenerezza con pupille dorate di angelo bianco, in lenzuola pulite, in cuscini perlati in cui poter finalmente dormire senza paura, la consapevolezza di esistere spezzata, leccava petali rossi mentre lui era già lontano chiuso di nuovo in viaggi allucinati scagliato via dalla notte, voleva urlare gridare fino e sentire vibrare la gola e sentire male graffi nella bocca che facevano trasudare sangue graffi sulle braccia e la schiena pallida voleva urlare e distruggere in pezzi di vetro al sapore di zucchero le immagini intorno a sé.
Voleva essere su una spiaggia con lui, Cometa infantile già scivolata lontano, abbandonata alla non emozione, leccava petali rossi in attesa di sapori esanimi,la stanza sonica psichedelico regno di fata incantato la tratteneva in movimenti confusi fra i capelli chiari da bambola e il corpetto nero allacciato morbido di pieghe trasparenti da puttanella dark trafitta da voglia di scopare leccata da petali rossi.
Voleva essere con lui su una spiaggia, baciava distesa labbra sconosciute con il pavimento gelato che la toccava, mani che intravedeva appena con gli occhi dissolti da alcool fruttato le slacciavano il corpetto, fata quasi nuda che assume di nuovo l’aspetto da bambola, dentro un camera in una qualsiasi via strisciata fuori da quel novembre ancora lungo gettata su un letto di seta casa barocca piena di ferro si faceva strappare via i vestiti da dita di ragazzo appena conosciute. Vedeva Bellezza mentre lo guardava negli occhi annebbiata nei pensieri spogliava la sua pelle già sudata e si faceva toccare ormai nuda piegata su di lui senza provare emozioni, solo gesti automatizzati già bruciati altre volte di pari intensità sulle gambe, godeva nel vedere affluire in lui la vita mentre lo masturbava e affondava le unghie nere dietro la nuca, cercava graffi di dolore e attaccamento al mondo. Si lasciava scopare legata a un letto e immaginava il riflesso accecante della luna sul suo viso. Il contatto della corda con le mani, una fata dalle movenze sinuose abbandonata a attimi di piacere, provava piacere immersa nell’argento liquido che le scivolava sul corpo rendendola statua gelata di sensualità, ancora più vuota di emozioni dopo un orgasmo ancora troppo lucida per perdersi completamente. Fumava accanto a lui, Bellezza gli illuminava il viso truccato di nero, voleva catturare l’immagine trafitta della loro giovinezza con un bacio, succhiava le sue labbra come fragole insanguinate e si abbandonava al silenzio della casa svuotata di una qualsiasi possibilità di esistenza, espressione scenica da attrice di teatro immobile scoperta dalla luce protetta dall’ombra.
di Davi